LECCO – La memoria può essere definita come la nostra capacità di conservare nel tempo le informazioni apprese e di recuperarle quando servono in maniera pertinente. Negli ultimi decenni si è venuta ad imporre all’interno della psicologia la consapevolezza, corroborata dall’evidenza empirica, del fatto che la memoria non sia un semplice deposito di dati, bensì un processo attivo e complesso. Questo processo è costituito da varie componenti: immagazzinamento, ritenzione, recupero e rielaborazione. Il contenuto recuperato, qualsiasi esso sia, è quindi una ricostruzione, e non una rievocazione fedele dei fenomeni a cui si è stati esposti.
Nella storia della ricerca psicologica sono stati moltissimi gli studi dedicati a questo ambito di ricerca, tra cui quelli di Ebbinghaus sulla curva dell’oblio; quelli di Bartlett sull’integrazione tra percezione, esperienza e memoria; quelli di Freud sui meccanismi di difesa e di rimozione.
Oggi sono due le teorie più accreditate sulla memoria, che dialogano continuamente cercando di descrivere e spiegare questo fenomeno complesso e così importante per la nostra vita.
La prima, sviluppata nell’ambito dello Human Information Processing (anni ’50 e anni ’60), è la Teoria tripartita della memoria, sviluppata da Atkinson e Shiffrin. In essa viene espressa una dimensione strutturale, quantitativa e funzionale della memoria, la quale è descritta come composta da tre “magazzini”: sistema sensoriale, memoria a breve termine, memoria a lungo termine.
Il primo magazzino riceve gli input dai cinque sensi e li trattiene per pochi secondi: è un sistema ad elevata capacità ma anche a rapido decadimento. Contiene al suo interno una specifica memoria per ogni ambito sensoriale, all’interno della quale l’informazione è codificata nella stessa forma dello stimolo.
Il secondo magazzino, la memoria a breve termine, ha una capacità limitata, all’incirca di 30 secondi. La sua capienza, inoltre, secondo l’esperimento di span di cifre, è di circa 7 componenti, o “chunks” (raggruppamenti). La velocità di recupero è variabile, e dipende dal numero di informazioni da ricordare.
I contenuti della memoria a breve termine possono passare nella giurisdizione della memoria a lungo termine, ovvero del terzo magazzino, se sono sottoposti a reiterazione. Si tratta del classico “ripetere” dello studente prima di essere interrogato, o dell’aedo nell’antica Grecia. All’interno della memoria a lungo termine si distinguono vari spazi più specializzati, organizzati in reti e nodi: memoria dichiarativa (ricordi espliciti), memoria procedurale (modalità di esecuzione, come ad esempio saper guidare la macchina), memoria episodica (avvenimenti della nostra vita, autobiografica, retrospettiva), memoria semantica (conoscenze generali sul mondo che ci circonda), memoria prospettica (ricordo delle intenzioni e degli obiettivi che devono essere realizzati in futuro). Si parla, infatti, di natura multisistemica della memoria.
Secondo alcuni studiosi, la teoria di Atkinson e Shiffrin presenta alcune criticità, ad esempio il fatto che il passaggio dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine sia eccessivamente meccanico e lineare. A tal proposito, in alternativa, Craik e Lockhart propongono la Teoria della profondità di elaborazione. Secondo questi due autori un’informazione può passare nella memoria a lungo termine anche senza la ripetizione, ma solo grazie alle sue caratteristiche strutturali. Se infatti essa è connessa con le informazioni già acquisite, se è emotivamente significativa, chiara e ben organizzata, verrà trasferita nella memoria a lungo termine senza bisogno di reiterazione.
Un esperimento di Craik, svolto insieme a Tulving (1975), chiarisce questa posizione. Venivano presentati ai soggetti tre tipi di compito: un compito ortografico, in cui si mostrava una parola e si chiedeva se fosse scritta in maiuscolo; un compito fonetico, in cui si mostrava una parola e si chiedeva con che parola potesse fare rima; un compito semantico, in cui si mostrava una parola e poi chiedeva se un’altra parola fosse legata in qualche modo a quella precedentemente mostrata. Successivamente e inaspettatamente ai soggetti venivano mostrate diverse parole, chiedendo quale di queste era già stata incontrata nei compiti precedenti. I soggetti riconoscevano maggiormente le parole sottoposte a compito semantico, poiché questo richiede un’elaborazione maggiore, e attiva processi più complessi, grazie ai quali lo stimolo viene memorizzato meglio. Dunque un contenuto, per essere memorizzato, ha bisogno di profonda elaborazione e integrazione con il proprio patrimonio di conoscenze.
La capacità di memorizzare i fenomeni che ci circondano è fondamentale per l’esistenza dell’uomo. Ci consente di essere quello che siamo, figli del nostro passato, radicati nel presente delle nostre azioni e tendenti al futuro, per quanto poco prevedibile esso sia. Gli studi su quest’ambito della cognizione umana hanno molte ricadute applicative, ad esempio nell’ambito della psicologia scolastica, per quel che concerne l’apprendimento; nella creazione delle memotecniche atte ad aiutare il ricordo; nelle terapie autobiografiche della psicologia clinica e anche nella psicologia giuridica, che si occupa della raccolta delle testimonianze di chi ha assistito a un delitto.