“Esiste una cosa molto più rara del talento, ed è la capacità di riconoscere il talento altrui” Elbert Hubbard
La Sindrome del Papavero Alto (TPS, dall’inglese “Tall Poppy Syndrome”) è caratterizzata dalla tendenza a criticare, sminuire e danneggiare coloro che hanno successo.
È generata dalla cultura della mediocrità determinata da una deriva deleteria del concetto di uguaglianza, che tende a livellare in basso e che preferisce la conformità alla genialità, all’eccellenza e all’unicità individuale.
Il termine richiama l’idea di tagliare i fiori, i papaveri, che crescono più alti degli altri in modo da uniformarli a quelli più bassi.
Di conseguenza, tagliare i “papaveri alti” serve per ripristinare l’uguaglianza e ridurre il disagio dei “papaveri bassi”, che in questo modo non sfigurano.
Un sinonimo della sindrome del papavero alto è la crab mentality o crab effect o crabs in a bucket, in italiano “mentalità del granchio” o “effetto granchio” o “granchi nel secchio”, che descrive un comportamento ostile, astioso e infine autolesionista, sintetizzabile con la frase: “se non posso averlo io, non puoi averlo nemmeno tu” oppure “se non ce la faccio io, non devi farcela nemmeno tu”.
Questo atteggiamento prende il nome dall’osservazione dei granchi pescati e messi in un secchio: quando uno di loro tenta di fuggire, gli altri lo tirano giù, determinando così la condanna di tutto il gruppo.
Il comportamento dei granchi è una metafora efficace per descrivere l’invidia e il risentimento che alcune persone manifestano verso coloro che raggiungono il successo.
Storia
La sindrome del papavero alto ha origini antichissime. I primi accenni ad essa risalgano ai tempi di Erodoto e Aristotele. Persino Livio ne fa riferimento in un racconto sul tiranno Tarquinio il superbo.
Secondo quanto narrato da Erodoto (ripreso da Aristotele) il re di Corinto, Periandro mandò un messaggero a Trasibulo, re di Mileto, per chiedergli come avrebbe potuto governare meglio la sua città. Trasibulo condusse il messaggero fuori città in un campo di grano. Mentre camminava riflettendo sulla domanda portata dal messaggero, spezzava con il bastone le spighe di grano più alte, distruggendo così la parte migliore del raccolto.
Alla fine, senza aver detto nulla, rimandò indietro il messaggero. Quando il messaggero ritornò a Corinto e Periandro volle sentire quale consiglio avesse portato con sé, egli riferì che Trasibulo non gli aveva detto nulla e raccontò quello che aveva visto nel campo di grano, aggiungendo che Trasibulo era un uomo molto strano, un pazzo distruttore dei propri beni.
Tuttavia, Periandro capì il consiglio contenuto nel comportamento di Trasibulo: doveva uccidere tutti i sudditi che avevano influenza sugli altri o abilità eccezionali. Così fu che si trasformò nel tiranno che la storia ricorda.
Una versione simile è riportata dall’autore romano Tito Livio, nell’opera Ab Urbe condita libri. Lo storico racconta che Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, avendo tentato invano di conquistare la vicina città di Gabii, per impossessarsi delle sue cave che fornivano un’eccellente pietra da costruzione, decise di prenderla con l’inganno.
Convinse il figlio, Sesto Tarquinio, a fingersi esiliato da Roma e a cercare asilo a Gabii, lamentandosi della crudeltà del padre; il giovane si conquistò la fiducia dei Gabini partecipando con ardore ad azioni militari e a razzie contro i romani.
Poi inviò un messaggero al padre Tarquinio il Superbo per chiedergli consigli sul modo migliore per prendere il potere.
Il messaggero fu ricevuto nel giardino della reggia dove il re, senza profferire parola, si limitò a passeggiare e a decapitare con il bastone le cime dei papaveri più alti (“Ibi inambulans tacitus summa papauerum capita dicitur baculo decussisse”).
Tale comportamento fu giudicato strano dal messaggero che, tornato a Gabii, raccontò a Sesto Tarquinio quanto accaduto nel giardino.
Sesto Tarquinio capì immediatamente il messaggio occulto che il padre aveva voluto comunicargli con il suo comportamento e iniziò ad uccidere le personalità più in vista della città che rappresentavano i “papaveri alti ” di Gabii. Così, priva del consiglio dei suoi migliori abitanti, la città cadde in mano ai Romani senza combattere.
I due aspetti della sindrome
La sindrome del papavero alto presenta due aspetti.
Il primo è quello di colpire chi si distingue per le sue elevate capacità ed eccellenti qualità, perché molte persone trovano difficile apprezzare i risultati e le qualità degli altri.
I papaveri alti sono aspramente criticati, messi in discussione, ostracizzati ed esclusi.
Il loro successo suscita invidia, sentimenti di ostilità e avversione, un profondo senso di frustrazione e di rabbia perché, dal punto di vista sociale e psicologico, si sentono minacciati dal successo altrui proprio perché esso evidenzia la loro inadeguatezza e i loro limiti.
Emergere è considerato antisociale perché va contro la cultura dominante di una società che promuove i principi egualitari.
Quindi le persone che si distinguono, magari andando controcorrente, sono percepite come un pericolo per l’ego di coloro che non si sentono o non sono all’altezza.
Così il gruppo, per impedire che la propria (scarsa) autostima ne soffra, cerca di screditare il successo (o il potere) di quella persona con pettegolezzi negativi, critiche immeritate e atteggiamenti aggressivi.
Le dinamiche solitamente utilizzate sono di sminuire il successo con frasi come “si tratta solo di fortuna”, di disprezzare le abilità e il duro lavoro degli altri, e, quando possibile, di ostacolarli.
Si tratta in sintesi di un misto nocivo e pericoloso di cattiveria, invidia ed ignoranza.
La sindrome del papavero alto può presentarsi in qualsiasi contesto, soprattutto in politica e negli ambienti di lavoro, ma anche nella scuola e nello sport.
Per quanto riguarda le donne, bisogna considerare che statisticamente hanno più probabilità di essere oggetto di sentimenti di invidia o di ostilità, legati ai loro successi, per la cultura maschilista ancora presente nella nostra società, che accetta posizioni di prestigio solo per i soggetti di sesso maschile.
Inoltre, a dispetto della tanto decantata solidarietà femminile, spesso le donne finiscono per essere oggetto di invidia particolarmente perfida e malvagia soprattutto da parte di altre donne. È la “sindrome dell’ape regina”.
La Sindrome dell’Ape Regina (Queen Bee Syndrome) si verifica quando una donna in una posizione di leadership tratta con ostilità e cattiveria solo le proprie dipendenti donne, prevaricandole senza pietà.
Si ripropone la situazione dell’alveare nel quale c’è un’unica ape regina che domina su tutte le altre.
Questo atteggiamento è il contrario della solidarietà femminile.
Di solito è osservato nell’ambiente lavorativo, ma può essere ritrovato anche nell’ambito sportivo, scolastico o delle relazioni interpersonali.
Nel corso della storia, molti pionieri e innovatori sono stati considerati “papaveri alti” e le loro scoperte e le loro teorie sono state denigrate o disapprovate dalla comunità scientifica ufficiale.
Un secondo aspetto della sindrome è che le persone, che ne sono il bersaglio, possono rinunciare a perseguire l’eccellenza suggerita delle proprie ambizioni; quasi si autocensurano, adattandosi a un pericoloso conformismo, proprio per paura delle reazioni negative da parte del gruppo.
Per questo molte persone si convincono che è preferibile non emergere in nessuna circostanza e adottano un profilo basso come regola di vita.
La conseguenza è quella di rinunciare alle proprie capacità e talenti, a scapito a volte di possibili benefici e un vantaggi per tutta la società.
Secondo studi condotti presso le Università di Waikato e Canterbury, la cultura caratterizzata dalla sindrome del papavero alto può causare una riduzione del rendimento medio del 20%.
Inoltre l’inibizione delle proprie aspirazioni determina una diminuzione della autostima e un aumento di insicurezza personale, con quindi maggiori probabilità di soffrire di depressione o ansia.
Conclusioni
Per porre fine alla sindrome del papavero alto bisognerebbe capire ed accettare che tutti sono diversi, tutti possono brillare di luce propria, e che la luce dell’altro non oscura la tua, tutti hanno dei limiti e non è necessario arrivare dove arrivano gli altri.
L’uso leggero e il più delle volte irresponsabile dei social network, tipico della nostra epoca, contribuisce ad alimentare l’invidia, assurda ed immotivata, perché tutti postano cose magnifiche, spesso esagerate, manipolate e fasulle, e gli altri si sentono comunque schiacciati e perdenti.
L’invidia, che nasce spontanea dal confronto con gli altri, dovrebbe essere positiva e funzionale, cioè servire per capire ciò che è importante e di conseguenza orientare le proprie energie per raggiungere o tentare di raggiungere obiettivi significativi.
Il successo altrui dovrebbe essere fonte di sana imitazione e ispirazione per migliorare a livello personale e professionale e non un motivo di frustrazione e di competitività negativa.
Occorre impegnarsi per una cultura che stimoli ed apprezzi il successo individuale, pur mantenendo un tessuto sociale di uguaglianza e rispetto reciproco.
Bisognerebbe quindi valorizzare la diversità, invece di vederla come un ostacolo. Solo cambiando mentalità, a livello personale e sociale, si può permettere che ognuno possa esprimere il meglio di sé senza paura di essere criticato o giudicato e che ogni papavero possa crescere con il suo ritmo ed arrivare alla sua altezza.
Bibliografia
Dediu A (2015) Tall poppy syndrome and its effect on work performance. Masters Thesis, University of Canterbury, New Zealand.
Marques MD, Feather NT, Austin DEJ, Sibley CG. Attitudes towards favoring the fall of Tall Poppies: The role of Social Dominance Orientation, Authoritarianism, Political Ideologies, and Self-Esteem. J Soc Psychol. 2022 Sep 3;162(5):640-653. doi: 10.1080/00224545.2021.1944034. Epub 2022 Feb 7. PMID: 35129090.
Miller, Carliss. (2015). A Phenomenological Analysis of the Crabs in the Barrel Syndrome. Academy of Management Proceedings. 2015. 13710-13710. 10.5465/AMBPP.2015.13710abstract.
Dr Giorgio M. Baratelli
Chirurgo senologo
Direttore Unità di Senologia Ospedale di Gravedona (CO)
Membro Comitato Scientifico Accademia di Senologia “Umberto Veronesi”
Presidente LILT di Como