Buio e silenzio.
Metto in moto, accendo i fari e parto.
La strada è deserta, i lampioni accesi sono uno spreco, anche se fanno atmosfera.
Sono quasi le tre di notte.
Faccio il taxista da ormai una decina d’anni ed è presto per lamentarsi.
È giunta una richiesta via watsapp da qualcuno che sta in piazza Cadorna.
Pochi minuti per arrivarci.
Non ho sonno, ormai son riuscito a capovolgere la giornata. Guido rilassato e arrivo in una manciata di minuti a destinazione, incrociando solo un paio di macchine.
Accosto vicino all’unico essere vivente nei paraggi, alto e di scuro vestito. Non ha bagaglio. Mi fa un cenno con la mano. È lui.
Apre la portiera posteriore e sale.
– Buonasera – gli dico, cercando di inquadrarlo nello specchietto – Dove posso portarla?
Non risponde.
Mi arriva un messaggio sul display del telefono che ho sul cruscotto: “Buonasera. Sono il suo passeggero. Siccome sono muto, sono costretto a comunicare in questo modo”
– Nessun problema – rispondo.
“Mi porta gentilmente in via Cinque Giornate?”
-Si trova dall’altra parte della città… – spiego. Getto un’occhiata nel retrovisore, ma lui sta proprio dietro il mio sedile. Per vederlo, dovrei diventare un contorsionista -Le costerà parecchio…
“Non importa” scrive lui “La via inferno parte da li”
– Via inferno? – dico – Mai sentita…
“Si trova nei paraggi dell’altra via. Quando saremo là, le spiegherò come raggiungerla”
-D’accordo.
Parto.
Ho addosso una strana inquietudine. Non penso che il muto sia un rapinatore, troppo strano il suo modo d’agire. Potrebbe essere un pazzo, quello sì, ma anche nel caso, saprei come difendermi. Ho una pistola proprio sotto il sedile, e un bottoncino sul volante che se premuto allerta immediatamente colleghi e forze dell’ordine. D’altronde, fare il taxista di notte comporta i suoi rischi.
Percorro strade che di giorno sarebbero intasatissime. Nel cuore della notte, invece, neppure i semafori funzionano. Via libera.
Messaggio: “La via per l’inferno non è per tutti”
Ci penso un momento. – In che senso?
“Bisogna meritarselo. Come il paradiso”
– Sarà… – sto sulla difensiva. Ha proprio qualche rotella fuori posto. Con la mano destra, dopo aver cambiato marcia, tasto sotto il sedile. Ok, la pistola c’è.
“Non mi dica che lei non ha peccati sulla coscienza”
– Bah, certo… come tutti…
“Sarebbe interessante saperli…”
Oddio, è proprio svitato. Figurati se sto a raccontargli la mia vita.
– Avevo appena preso la licenza per il taxi, quando falciai una donna sulle strisce pedonali. Avevo torto marcio, ma la corporazione dei tassisti riuscì a levarmi dall’impiccio…
Ma cosa sto dicendo? Perché dico queste cose ad uno sconosciuto?
“Bene” scrive lui “Un piccolo tassello per guadagnarsi la dannazione”
Non so che dire. Anzi, è meglio che stia zitto. Ma cosa mi è preso?
“Ma non mi dica che non ha fatto altro di male in vita sua…”
– Ecco… io…
Stai zitto, non parlare!
Inizio a sudare e a stringere forte il volante.
– Avevo un socio, col quale avevo messo in piedi una società immobiliare. L’ho truffato, appropriandomi di tutto, e quando lui se n’è accorto, s’è tolto la vita. Era troppo grave e inaccettabile quello che gli avevo fatto. Si fidava di me.
“Una vera carogna” scrive lui.
Attorno, si susseguono palazzi e auto ferme, congelati dal giallo dei lampioni. Non un’anima viva.
Ma, dannazione, perché gli sto dicendo i fatti miei? Perché non riesco a star zitto, a svicolare dalle sue domande che vanno a violare la mia privacy?
“L’inferno si avvicina. Tra poco ci siamo. Altro?”
Viaggio spedito, anche se non è il caso. Vorrei prendere la pistola e puntarla allo sconosciuto per farlo tacere, ma non ce la faccio. Ho un blocco. Pochi minuti e saremo in via Cinque Giornate.
– Ho tradito mia moglie e non le ho più restituito i soldi che mi aveva dato.
“Ottimo. Sempre meglio. La via per l’inferno sicuramente si spalancherá, pronto ad inghiottirla. Un bocconcino succulento”
Ma cosa sta dicendo? Questo è pazzo, pazzo e pericoloso! Devo fermarmi, farlo scendere, a costo di puntargli la pistola contro, e nel caso usarla. Dove mi vuol portare? Cosa mi vuol fare?
– Sì, ne ho combinate nella mia vita, colpa della mia avidità e indifferenza verso gli altri. Merito certamente l’inferno.
“Bravo. Si fa così. Accettare il proprio destino, non cercare di sfuggirgli”
Palazzi, lampioni, auto ferme, semafori lampeggianti.
Finalmente, via Cinque Giornate. Nessuno in giro. Il mondo si è svuotato, è tutto per noi.
“Siamo arrivati” leggo sul display “Acceleri”
Comincio a pigiare sull’acceleratore, arrivando alla marcia più alta. Non vorrei, ma non riesco ad impedirmi di farlo. Sudo e batto di cuore come un tossico in crisi d’astinenza.
La via è lunghissima, forse tre chilometri se non ricordo male, ma a 200 chilometri orari, sarà questione di un minuto raggiungerne la fine.
“Bravo. Acceleri ancora, senza paura. L’inferno ci attende”
Duecentoventi, duecentotrenta, duecentoquaranta.
Il taxi è un razzo che sta per decollare. Sto aggrappato al volante e lascio che i piedi facciano loro. La metropoli si fa indistinta, fugge via senza che l’occhio riesca a fotografarne i particolari.
Ecco, laggiù in fondo, la via termina. Ne incrocia un’altra.
Proprio di fronte, il muro di un complesso industriale.
“Complimenti. Siamo arrivati. Saluti il mondo. È stato un piacere”
L’ultima cosa che avverto prima del nulla, sono le sue mani secche e gelide che mi afferrano le spalle e stringono forte.