…a prescindere dal fatto che ti sei comportato male con mia madre…

…a prescindere dal fatto che non abbassi mai il coperchio del water…

…a prescindere dal fatto che tieni il volume della tele troppo alto…

A prescindere.

Quando Sonia avviava una frase con quelle due parole, sapevo già come andava a finire.

Con Sonia stavo assieme da qualche anno, senza figli e senza obblighi. Stavamo in un appartamento senza pretese, che lei si ostinava a voler personalizzare.

A fronte del mio muto ma palese “non me ne può fregar di meno” , lei attaccava col suo “a prescindere”.

Litigavamo spesso? Può darsi.

Ogni cazzatina diventava motivo di attrito.

Vi ho già detto di sua madre – una spocchiosa che non vi dico, e mica era colpa mia se lo era – del coperchio del water alzato – mi faceva un po’ schifo toccarlo, e mica era colpa mia se avevo poca mira – e della tele ad alto volume – così i vicini imparavano a picchiare col manico della scopa alla parete, e mica era colpa mia se erano dei cafoni.

Insomma, tutto era buono per darmi addosso.

Ero una vittima. Punto e basta.

Una sera, ad esempio, Sonia esordì con un “a prescindere dal fatto che non sei mai stato un buon amministratore dei nostri averi, non credevo possibile che tu combinassi una cosa del genere…”

Cos’era successo? Presto detto: un investimento sbagliato, come se ne possono fare tanti nella vita. Solo chi fa, può sbagliare.

E siccome ero un po’ a secco di liquidità in quel periodo, avevo reputato conveniente, e saggio, investire i soldi di Sonia – centomila euro, mica milioni – in un pacchetto azionario di titoli dei paesi emergenti. Era una buona idea, persino il bancario aveva annuito soddisfatto.

Poi, era accaduto l’imprevedibile.

Considerazione: era forse colpa mia se ‘sti paesi emergenti si mettono a fare la guerra, mandando a picco i loro titoli? Certo che no.

Ma Sonia, poveraccia, non aveva capito.

L’avevo tranquillizzata, spiegandole in parole semplici che ci sarebbero state altre occasioni per rifarsi, ma lei aveva cominciato coi suoi “a prescindere”.

Beh, per farla breve, avevo sbattuto la porta e me ne ero andato. Litigare per il vil denaro…puah…

Fuori era già buio, e considerato che io odio uscire la sera, a tutti gli effetti mi ero autopunito.

Mi ero diretto al vicino “Parco degli Aironi” – che tutte le volte mi chiedevo dove fossero ‘sti aironi – e mi ero messo sulla solita panchina.

C’era una brezzolina che s’infilava dappertutto, e il rammarico era quello di non aver preso un fazzoletto da collo. Con la cervicale che avevo…altra cosa da mettere in conto a Sonia…

Almeno un paio d’ore avrei dovuto star lì; se fossi rincasato prima, avrei perso dignità, ne ero sicuro.

Il piacere perverso derivava dal fatto che Sonia non sapeva cosa andassi a fare. Magari sospettava andassi a donne…

La cosa mi intrigava.

E nel parco, per la verità, le occasioni non mancavano.

Col calar delle tenebre, venivan fuori i personaggi più strani, e non mancavano donne sole e appetitose.

C’era, per esempio, una tizia che viaggiava disinvolta in bicicletta, senza sedersi sulla sella, e tutte le volte che passava davanti alla mia panchina, girava la testa e mi sorrideva.

Era una gnocca polposa, di quelle che sotto la maglietta sembrano abbiano un addetto che tenga gli indici puntati ad indicare il nord. Ad ogni pedalata, poi, pareva che il citato addetto si premurasse di agevolare i movimenti lungo la verticale, evitando qualsiasi sconfinamento nelle altre direzioni. Niente ballonzolii gelatinosi, per intenderci.

Le gambe? Beh, l’occhio ci rotolava, eccome…

Lunghe, abbronzate, ben oliate, senza il minimo peluzzo o sghiribizzo. Due pennellate d’artista.

La tizia portava poi degli short a vita bassa e, siccome pedalava in piedi, quando mi dava le spalle ad ogni pigiata inalberava la riga. Nulla di volgare, per carità, bensì un suo modo d’essere, caratteristico d’una chiara apertura mentale. Più che la fine del sedere, pareva l’inizio della strada maestra che porta all’avvenire, il solco dell’aratro dove germoglierà nuova vita.

Mi ci perdevo, lo confesso.

Ah, dimenticavo. Il viso.

Due occhi ammiccanti, un naso nontiscordardime, due labbra rosse come beghe striscianti sulla lattuga dopo un temporale. La pelle che faceva da sfondo, invece, mi ricordava il bitume appena rollato, liscio e caldo, oltre che nerovellutato.

Quella sera, era già passata un sacco di volte, ed ormai ci sorridavamo apertamente. E ci facevamo ciao ciao con la mano.

Finalmente, era accostata.

“Ciao bello”

“Buonasera” avevo risposto. Non intendevo darle subito troppa confidenza.

“Hai del fumo?” mi aveva chiesto, smontando dal suo veicolo a pedali. L’addetto sotto la maglietta non mollava il nord.

“Sigaretta?”

Lei era parsa delusa. “Se non hai di meglio…”

Ci eravamo messi a fumare, dopo che lei si era seduta fianco a me.

“Sei del posto?” mi aveva chiesto dopo qualche boccata. Begli occhi, tutta pupilla, senza fondo.

“Sto qua vicino…” ero stato sul vago.

Lei si era passata la mano libera su di una gamba, come se ogni tanto dovesse controllare che i centimetri di pelle ci fossero ancora tutti. “E che ci

fai qua tutto solo? Ti si è guastata la tivù?”

“Problemi…”

“Ah…” aveva fatto lei, buttando fuori poi platealmente una nuvola di fumo “E li risolvi su questa panca…”

“Ci provo…”

Cosa voleva?

Più la guardavo, più mi ingolosivo. Ma Sonia?

“E tu sei di qua?” le avevo chiesto, giusto per non far la parte del musone.

“Ho un appartamento appena fuori il parco. Vivo sola”

Le ultime due parole, non richieste, dovevano pur significare qualcosa.

Finita la sigaretta, aveva preso a lisciarsi a due mani le gambe. “Accidenti alle zanzare…” ma non ce n’era manco una, e lei seguitava ad andare su e giù, su e giù.

Avevo bruciato le ultime foglie di tabacco, tirando come una ciminiera. Forse, avrei sforato il tempo di permanenza che mi ero imposto, ma pazienza.

“È difficile prendere sonno con questo caldo…” aveva considerato ancora lei, con voce lamentosa, aggiustandosi la maglietta che non ne voleva sapere di stare dritta “Se ti va, ti mostro la mia collezione di farfalle…”

Era un chiaro invito, un approccio sessuale senza mezze misure. Figuriamoci se lei faceva davvero raccolta di farfalle…una scusa palese, ridicola…

“Beh…” avevo levato le spalle fingendo indifferenza, ma dentro ero tutto un

fuoco “Si può fare…”

Eccome se si poteva fare!

L’avevo seguita, e pure quando camminava era una delizia. Sculettava come se avesse creato lei quella nobile zona del corpo, e ne andasse fiera.

Dopo una decina di minuti, eravamo arrivati al cospetto di una palazzina bianca di tre piani, nella via parallela a quella dove stavamo io e Sonia.

Sonia. La stavo per tradire? Sì, direi proprio di sì.

Ma le occasioni vanno prese al volo. Ogni lasciata è persa.

Il suo appartamento non era male, tutto giocato sul bianco e sul nero. Parecchi nudi artistici alle pareti convogliavano verso la camera da letto, giocando sulla prospettiva, ma per il momento non osavo fare commenti.

“Mi do una sciacquata…” aveva detto lei, ed aveva preso a spogliarsi intanto che andava verso una porta “Mi faccio un bel bagno…” e mi aveva piantato lì. Se non era una proposta quella…

Appena s’era chiusa la porta alle spalle, mi ero spogliato pure io, nudo come un verme. Ormai, la situazione era chiara…inutile tergiversare…

Avevo atteso qualche minuto, poi ero andato alla porta dove era sparita la… già, ma come si chiamava? Manco ci eravamo presentati…beh, pazienza…comunque, avevo bussato. “Posso entrare?” avevo chiesto, ormai con l’elettricità addosso.

“Certo. Vieni” mi aveva aperto la porta.

Aveva indosso un accappatoio rosso. “Mi sono già rinfrescata. Vedo che hai caldo pure tu…” aveva sorriso, cercando di non abbassare lo sguardo per non cadere nel volgare “Mettiti nella vasca, che poi ti raggiungo…”

Non c’era più bisogno di fingere. Tra poco, avremmo assaporato le delizie della fisicità, le godurie dell’estasi.

Con un cenno della mano, mi aveva indicato la vasca già piena a metà.

Pochi passi, con sguardo complice e maialesco, ed avevo scavalcato il bordo, immergendo gli arti inferiori.

Era stato come calarmi nel piombo fuso.

Il dolore era talmente atroce che non riuscivo neppure ad urlare. Avrei voluto saltare fuori, ma le gambe non rispondevano più.

“A prescindere dal fatto che nudo sei decisamente patetico, devo pure aggiungere che tua moglie paga davvero bene…” aveva spiegato lei, con calma crudele “Non ne poteva più di te, quindi a prescindere dal fatto che assoldare un killer sia moralmente discutibile e decisamente pericoloso…” si era indicata “… si è comunque decisa al grande passo. Gli eri diventato un peso insopportabile” seguitò a spiegare “E mi ha pure raccomandato di non farti mancare i prescindere negli ultimi tuoi istanti di vita. Addio” aveva sorriso prepotentemente “A prescindere, s’intende”