MANDELLO DEL LARIO – Due volte su due il mandellese Giuseppe Cialdini finisher alla Sparathlon, la corsa da Atene a Sparta in un massimo di 36 ore. Questo il racconto in prima persona della sua esperienza.
Finisher: Spartathlon 2016. 2 su 2 che dire, 2013 e 2016. Detta così sembra una serie di numeri messi in fila, invece sono passati 3 anni che per quello che mi è successo non può bastare una vita intera. Ma il passato è passato, inevitabilmente va lasciato alle spalle. Ma veniamo alla gara.
Lo scorso anno mi iscrissi all’estrazione per essere selezionato tra la ventina di italiani che possono partecipare alla gara, ma il destino benevolo ci mise lo zampino e non fui estratto. Ci ho riprovato quest’anno e il 10 marzo il mio nome figurava tra i selezionati. “Caspita, e adesso che faccio, ci vogliono almeno 2 anni e tanta gavetta per una gara del genere” e io avevo un’autonomia di una maratona e nulla più.
Imposto un programma di allenamenti lungo 6 mesi che mi permettesse di aumentare i chilometri cercando di non esagerare per non incorrere in infortuni vari. La preparazione procede bene, ma quando corro la “100km del Passatore” a maggio, mi rendo conto di quanto sia lontana una seppur minima forma in vista della Spartathlon. Continua la preparazione e arrivato a luglio arriva anche il test per vedere a che punto sono di condizione. I primi di luglio partecipo alla 12 ore di Costorio correndo le prime 7 ore e camminando a passo veloce le successive cinque. Chiudo in 2° posizione e fisicamente sto bene. A metà luglio partecipo alla 100km di Asolo, la 100km più dura d’Europa. Questa la consideravo il mio pass per la Spartathlon, lì avrei capito se sarei potuto partire per Atene con una condizione decente. La chiudo in 10h53′ dando tutto quello che avevo.
Felice della condizione mi rendo conto però che nelle due settimane successive non riesco più a correre. Appena torno da una corsetta serale, mi sale la febbre. Fatico a riprendermi e solo dopo quasi un mese riesco a correre decentemente. A fine agosto ho in programma l’ultimo lungo di 60km, ma tre giorni prima, durante un’uscita in surplace di 10km, termino l’allenamento zoppicando vistosamente causa una caduta dovuta a una mela sul percorso. Oltre a rimanere fermo qualche giorno, salta anche il lungo, ma riprendo correndo solo su asfalto dato che la caviglia mi fa ancora male nel piegarla. A settembre diminuisco il chilometraggio e cerco di aumentare un po’ la velocità e così sarà fino ad Atene.
L’organizzazione di questa gara e splendida: iscrizione, hotel, pranzi, trasferimenti, cena con premiazioni ecc. Salto tutto questo e racconto solo ciò che più interessa. In stanza ad Atene sono con Mauro Firmani, ma la notte che precede la gara si trasferisce a dormire con la sua crew e io rimango da solo in una stanza enorme. Con Simone Leo abbiamo condiviso alcuni allenamenti, ma abbiamo passi diversi, quindi decido di iniziare la gara seguendo l’istinto e se le nostre strade si ricongiungeranno lo deciderà il tempo.
La partenza è alle 7 (le 6 in Italia). La temperatura fresca lascia subito spazio al caldo afoso del giorno con temperature che raggiungono i 31°C, ma la percezione è maggiore causa il riflesso del caldo dall’asfalto e non c’è una nuvola nemmeno a pagarla. L’idea è arrivare a Corinto con un’ora di vantaggio sui cancelli poi si vedrà. Forse però è meglio far un po’ di chiarezza sui numeri di questa gara per quelli che non sono a conoscenza esattamente di cosa scrivo: 246km, 3800d+, 36h al massimo, 75 ristori che fanno anche da cancello, se arrivi in un tempo prestabilito da loro ok, altrimenti sei squalificato. Oltre alle 20 ore di gara con temperatura superiore a 30° e la notte in montagna e la mattina presto con temperature vicino agli 0°. Se è la più dura al mondo ci sarà un motivo, ma “this is Sparta”.
Torniamo alla gara. Il caldo incide e transito la maratona in 4h 13′. Arrivo a Corinto in 8h47′, 81km, con 43′ in anticipo sul cancello. Certo non come avevo programmato ma più di così non vado. Riparto stanco e mi accorgo che ad ogni ristoro successivo perdo minuti preziosi sui cancelli. A complicare il tutto c’è un problema che man mano vado avanti si aggrava. Dal 60°km avvertivo una sensazione strana al ginocchio destro. Prima non ci ho dato peso ma poi la sensazione si trasforma in dolore. Quando corro, corro non con una posizione corretta e quando cammino non piego il ginocchio per non avvertire dolore. Oramai la speranza di finirla scompare. In quella condizione non avrebbe senso continuare per altri 150km, ma “this is Sparta”, quindi anche strisciando vado avanti il più possibile.
Non ho assistenza al seguito e se voglio vestiti puliti e asciutti devo per forza arrivare al 105°km. Arranco e arrivo al cambio abito con circa 30 minuti di vantaggio sui cancelli. Mi cambio completamente, scarpe comprese (perdendo altri 5′) e quando mi appresto a ripartire incontro Simone con la sua crew. Decidiamo di ripartire assieme e questa è una decisione saggia per entrambi. Il dolore è ancora presente ma non si molla. Il buio è arrivato con il suo calo di temperature, ma tra poco la strada comincia a salire. Siamo a 200 metri sul livello del mare ma nel giro di pochi chilometri arriveremo a 1100 metri sul livello del mare. Forse dovrei scrivere arriverà, perché io perdo sempre minuti in salita. Il dolore al ginocchio prima diminuisce poi scampare completamente. La causa a questo punto la attribuisco alle scarpe che non avevo mai utilizzato per i lunghi. Al ristoro 45 (150km) la strada inizia a salire. Qui c’è la svolta della gara. Abbiamo solo 22′ di vantaggio sui cancelli e il timore di non riuscire ad arrivare ai piedi della montagna è concreto. Il timore si trasforma in rabbia e Simone cambia passo e sale con un passo che io me lo sogno. Lo vedo allontanarsi e capisco che anche l’arrivo a Sparta si allontana con lui e lo sconforto è inevitabile.
Se devo morire, allora morirò in piedi. Stringo i denti e spingo all’inverosimile sulle gambe per tutta la salita d’asfalto. Le gambe mi fanno male ma ad ogni passo mi ripeto “DAI, DAI, DAI” spingo, spingo e spingo ancora fino ad arrivare al cancello 47. È la delimitazione tra la salita d’asfalto e l’inizio del famigerato sterrato. Controllo il vantaggio sul cancello con la consapevolezza di aver perso tempo e invece con mia sorpresa il vantaggio si è stabilizzato sui 22′. Non ho lacrime di gioia da versare, a dire il vero non ho neanche la forza di gioie, e riparto per la salita. Qui almeno ci sono arrivato e se va male almeno mi fermano in cima alla montagna, non alla base. Bevo un bicchiere d’acqua e riparto subito.
Dapprima la pendenza è costante, poi aumenta talmente tanto che a stare fermi rischi di cadere all’indietro. È un lungo serpentone che si inerpica in montagna a zig zag, tracciato da piccole lucine che delimitano il percorso ma che non rendono per nulla sicuro lo sterrato. Appena cambia la pendenza io mi pianto completamente e rallento vistosamente, non ho più energie. Salgo, salgo, salgo e finalmente arrivo in cima. Altra gioia, ho perso solo 4 minuti, ma ora c’è la discesa e posso recuperare, almeno spero. Bicchiere d’acqua e riparto correndo. La discesa è pericolosa.
Provate a pensare di correre sulla ghiaia e sassi, in discesa e al buio. Il rischio di farmi male è alto se corro, ma non posso non spingere, qui devo obbligatoriamente guadagnare tempo. Se le cose a volte succedono non per caso, allora coincidenza vuole che a metà discesa la luce della lampada si abbassa vistosamente, si sta scaricando, e sono costretto a camminare, meno male. Ricomincia l’asfalto e con la luce sfocata riprendo a corricchiare. Il dolore al ginocchio è scomparso e il vantaggio si è posizionato a 30′. I chilometri scorrono con l’orizzonte che comincia piano piano a schiarirsi. Simone non lo vedo più da un pezzo e me lo immagino già molto più avanti. Durante una discesa, con la luce che oramai illumina solo i miei piedi, mi sento chiamare da dietro. Non mi ero accorto di aver appena superato Simone appoggiato sul ciglio della strada per una breve pausa. Ci ricongiungiamo e la coppia di fatto è ristabilita. Quello che ci aspetta è il ristoro che 3 anni fa decise la mia gara, la consapevolezza che sarei arrivato a Sparta. La notte oramai è alle spalle, la crew di Simone ci ha ritrovato, e il cancello 52 (172km) è vicino, tutto ruota per il verso giusto e si va avanti. Sono ottimista ma stanco. La crew mi comunica un messaggio di mia sorella. “Vai fratello, papà da lassù è orgoglioso di te” e qui le lacrime arrivano. Al famigerato cancello arriviamo alle 7:05, 24h05′ di gara e 172km dopo essere partiti da Atene.
Anche se sono di nuovo qui dopo 3 anni con 5′ di vantaggio in meno, non ho la stessa convinzione di arrivare a Sparta, troppo stanco, ma stringo i denti e si va. Il giorno è un tocca sana per me e l’obiettivo prossimo è arrivare al ristoro 58 dove ho il cambio per il giorno. Sembra che le difficoltà siano passate, invece la piana di Sparta porta a temperature vicino al 0°. Esce vapore dalla bocca e le mani fanno male dal freddo. Non si molla di un centimetro e andiamo avanti. Dopo il cancello 56 io e Simone ci organizziamo per il cambio abito. Io ce l’ho al c/p 58 e lui al c/p 57. Così lui si ferma prima e io dopo ma poi ci ricongiungiamo. Fanno con noi elastico gli italiani Iannitti, Barbacetto e Drago, ma loro procedono con il loro passo. La giornata si preannuncia più calda della precedente e se poi si considera che con il tempo perso per cambiarsi il vantaggio si è ridotto a 15′, i timori di non finirla sono alti. Conosco Barbacetto e so che ha bisogno di stimoli per ingranare la 5ª. Gli faccio sapere che se continuiamo così non la finiamo e lui cambia espressione e se ne va in fuga fino all’arrivo. È un continuo sali e scendi dove Simone mi stacca in salita e io lo riprendo in discesa. C’è ancora una salita spacca-gambe e poi è discesa fino a Sparta.
Il vantaggio si attesta comunque sui 20/25′, dipende dalle salita e dalle discese. Oramai è giornata inoltrata e le temperature sono superiori ai 30°. Non c’è nemmeno una nuvola. I wafer al cioccolato che ho mangiato tutta la notte hanno lasciato spazio alle patatine. C/p 69, 227km. Abbiamo 21′ di vantaggio e ora è discesa. Meno di una mezzora e siamo arrivati. Sappiamo tutti e due che arriveremo a Sparta e le gambe nonostante tutto girano. L’ottimismo è alto e facendo due conti possiamo stare sulle 35h basse. Quando mancano 10km Simone si pianta.
Complice lo scarico d’adrenalina, non ne ha proprio più. Il vantaggio si assottiglia e non riesce più a correre nemmeno in discesa. La crew oramai lo ha salutato per ritrovarlo a Sparta ma continua a ripetere che non riesce a reagire. Lo stimolo a riprendere ma arranchiamo. Oramai siano a due ristori da Sparta e il profumo di Leonida io lo sento e lui ancora no. Nonostante tutto andiamo avanti e cerco di distrarlo facendogli sapere cosa ci aspetta dopo l’arrivo. Al c/p 73 lui ha bisogno di sedersi e mangiare e per provocazione gli dico che a quel ristoro non mi fermo, sarà poi l’unico che salterò, e lo aspetto al c/p 74 con la bandiera dell’Italia e il peluche in mano, regalato dalla moglie alla partenza, per portarli assieme all’arrivo. Questa provocazione lo stimolerà e da 18′ di vantaggio arriviamo a 27′ all’arrivo. Non faccio in tempo a raggiungere il c/p 74, l’ultimo, che sento già il suo fiato sul collo. Spartano.
Ci concordiamo di arrivare da Leonida separati, sono cinque anni che sogna di arrivare su quei gradini e salutarlo a suo modo. A questo punto dò tutto quello che mi è rimasto e in 2km supero parecchi atleti. L’arrivo a Sparta e preceduto dal rettilineo finale tra due ali di folla festanti. Se trovo qualche italiano che si complimenta lo abbraccio festoso. Anche Simone ha aumentato il passo e il suo arrivo è successivo di soli 15 secondi. Compio otto flessioni e mi complimento con un amico con cui ho condiviso 141km tra alti e bassi.
Ora ho capito che lo spartano non è colui che è più forte in battaglia, ma colui che ha al suo fianco un altro spartano che difende sino alla morte le sue spalle. Da solo forse sarei qui a raccontare un’altra storia. Concludo come concludevo anni fa. “Non ho toccato un soffitto ma ho toccato un nuovo pavimento”. Ciao papà.