“Seno vissuto” è una espressione utilizzata da una mia assistente, la dottoressa Curtoni, quando vuole rincuorare le donne, che in ambulatorio si lamentano dell’aspetto “decadente” del loro seno.
Con “seno vissuto” intende un seno che è orgogliosamente maturato in gravidanza e che poi ha allattato abbondantemente ma che, dopo l’allattamento, è diventato ptosico, cioè è caduto e svuotato.
“Seno vissuto” è comunque il seno potente, sicuro e rassicurante della madre, che mi ricorda un titolo apparso sulla copertina di un Times di qualche anno fa: “Italians powerful mothers”.
E se proprio non dovesse piacere, il “seno vissuto” può essere fatto rivivere con una protesi garbata e non volgare.
Ma “seno vissuto” è anche il seno che ha attraversato gioie e dolori, durante la sua vita.
Tra i dolori a volte (capita a 1 donna su 8) c’è stato un nodulo maligno che ha dovuto essere rimosso lasciando sul seno una cicatrice e rendendo il seno ancora più vissuto.
A volte la cicatrice è sul torace, perché il seno ha dovuto essere asportato completamente, immolato per salvare la vita.
Penso anche al seno di tante ragazzine, un seno non ancora vissuto, perché all’inizio della sua vita, un seno in divenire, che ha dovuto già conoscere lo sfregio della cicatrice, con relative preoccupazioni ed ansia, perché l’ansia c’è sempre, anche per l’asportazione di un nodulo benigno.
Per questo è importante lasciare cicatrici che non si vedono sia sul seno, per l’estetica, che nell’anima, impresa molto più difficile, perché, come ci ricordava il Prof. Veronesi: “è più facile togliere un tumore dal seno che dalla testa”.
Questi sono comunque gli obiettivi di ogni chirurgo senologo.
Chirurgo senologo
Ospedale di Gravedona
Presidente LILT di Como
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