“Un senso di stagnazione e di vuoto; ti senti come se ti stessi confondendo tra i giorni, come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato”.

Con queste parole Adam M. Grant, psicologo americano e professore alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, ha descritto, in un articolo recentemente pubblicato sul New York Times, lo stato emotivo che sembra essere predominante in quest’ultimo anno. Si tratta di quel fenomeno emotivo che viene definito languishing e che in italiano può essere tradotto con il termine “languire”.

In realtà il termine languishing era già stato usato in passato da un altro psicologo e sociologo americano, Corey Keyes, studioso di psicologia positiva e docente presso la Emory University, in Georgia. Nel 2002 Keyes condusse uno studio empirico all’interno del quale mise a confronto 3032 adulti, di entrambi i sessi e di età compresa tra i 25 e i 74 anni.

Keyes notò che il 12,2% di queste persone, benché non presentasse alcun tipo di disturbo o disagio psichico, non stesse “fiorendo”: si trattava di persone che non presentavano appunto alcun disturbo o patologia psichica ma che al contempo non avevano un buon livello di benessere. Come afferma lo stesso Keyes, “il languishing non si può definire come una condizione di tristezza o depressione, bensì più adeguatamente come l’assenza di sensazioni positive riguardo alla propria vita” e, continua Keyes, “si configura come una mancanza di significato, di scopo o di sensazione di appartenenza alla vita, che porta al vuoto, alla mancanza di emozioni e alla stagnazione”.

Espresso in questi termini quindi, il languishing si colloca a metà tra la patologia e il benessere ed è l’esatto opposto del fluorishing, termine inglese che significa prosperare e che indica uno stato di vitalità emozionale che fa “fiorire” la persona, come descritto da Seligman & Csikszentmihaly nel 2000.

Grant riprende il concetto di languishing di Keyes e lo utilizza, in modo perfettamente appropriato, per descrivere lo stato emotivo che sembra essere predominante nel periodo che stiamo vivendo, in relazione alla pandemia Covid-19.

In effetti, si sta osservando sempre più frequentemente come, benché ci troviamo in una fase di ripresa di normalità, molte persone si trovino a vivere uno stato di assenza di benessere e di positività, all’interno del quale la motivazione e la spinta vitale sembrano essere spente, a favore invece di un sempre crescente stato di inerzia e devitalizzazione.

Non stiamo male, ma non stiamo bene. Non abbiamo rallentato, ma neanche accelerato. Si prosegue con le proprie vite ma con la sensazione di non viverle in prima persona, di non avere prospettive positive; come dice Grant, come se osservassimo la nostra vita da un finestrino appannato.

Accorgersi che si sta vivendo questa condizione di languishing sembra essere molto difficile: non essendo un vero e proprio disagio psichico, è facile non rendersi conto di trovarci in prima persona a vivere questa condizione emotiva. Proprio perché non si sta male in modo significativo e non si hanno sintomi facilmente riconducibili ai disagi psicologi noti, ci sentiamo di minimizzare eventuali elementi riconducibili al languishing. In questo senso è molto importante aprirsi e raccontarsi con le persone a noi vicine, che possono aiutarci a notare che qualcosa non va.

Fortunatamente Grant ci indica un modo che sembra essere discretamente efficace al fine di combattere lo stato emotivo del languishing. Nel suo articolo sul New York Times, l’autore suggerisce di trovare qualcosa che ci permetta di “fluire”, che ci consenta quindi di immergersi, lasciarsi coinvolgere e trasportare da qualcosa, al fine di consentirci di traghettarci oltre questo stato di vuoto. Grant inoltre aggiunge come a suo parere concentrarsi sugli obiettivi e stabilire dei limiti possa aiutare a stimolare entusiasmo ed energia.

Tuttavia, quando la situazione legata al languishing sembra farsi insostenibile e questi accorgimenti non sembrano essere utili o non sono più sufficienti, ricorrere ad una/o psicologa/o resta sempre il suggerimento principale.

Non conosciamo ancora gli effetti esatti, in termini psicologici, che la pandemia Covid-19 avrà sui singoli individui e sulla società, ma possiamo affermare con un certo grado di sicurezza che tralasciare e non gestire in modo adeguato gli stati psicologici che ci disturbano può inevitabilmente portare ad un peggioramento della situazione. In ragione di questo, è sempre bene, laddove possibile, consultare un professionista e chiedere un parere circa la propria situazione, per valutare eventuali strategie da mettere in atto o percorsi da intraprendere per la propria specifica situazione.

Dott.ssa Elisa Tagliaferri
Psicologa Clinica
(Ordine degli Psicologi della Lombardia, n. 22232)

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elisatagliaferri.psicologa@gmail.com

 

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