Nei primi anni del 1900, durante l’epoca della corsa all’oro negli Stai Uniti, i cercatori erano costretti a permanere per lunghi mesi all’interno di una capanna durante il periodo dell’anno in cui potevano concentrare la loro attività. È stato testimoniato che queste persone si trovassero a vivere uno stato di isolamento al quale facevano seguito sentimenti di paura, rifiuto a tornare alla civiltà, sfiducia nel prossimo, stress e ansia.
Durante tutto il secolo scorso, e fino ai giorni nostri, questa medesima condizione è stata riscontrata nelle popolazioni del Nord America, dove i rigidi inverni costringono le persone a rinchiudersi in casa per lunghi periodi, al termine dei quali si rilevano diffusi stati di ansia e depressione che condizionano in modo significativo la ripresa delle consuete attività fuori casa.
Questa condizione, che prende il nome di Sindrome della Capanna o del Prigioniero, è caratterizzata da un quadro associabile a diverse circostanze che tuttavia sono accumunate da una sensazione mista di paura, insicurezza, tristezza e ansia che si associa significativamente al bisogno percepito di restare a casa al sicuro e lontani da minacce esterne (Cutrone, 2020).
I sintomi più comuni (Senese, 2020) che caratterizzano la Sindrome della Capanna (o del Prigioniero) sono:
– Episodi di irritabilità;
– Tristezza, paura, angoscia, frustrazione;
– Stato di letargia, sensazione di stanchezza e di sonnolenza, difficoltà ad alzarsi al mattino;
– Difficoltà di concentrazione e scarsa memoria;
– Importante demotivazione.
Dal momento che non vi è una sufficiente casistica in letteratura, questa sindrome non è ancora riconosciuta tra i manuali diagnostici psicologici, sebbene dati recenti possano concorrere a renderne possibile l’inserimento nel prossimo futuro.
Nel 2020 infatti, un team di ricercatori del Collegio Ufficiale degli Psicologi di Madrid, ha lanciato l’allarme sottolineando il diffondersi della Sindrome della Capanna o del Prigioniero nel periodo immediatamente conseguente al primo Lockdown da Covid-19. Nello stesso periodo la Società Italiana di Psichiatria (SIP) aveva reso noto che in Italia circa 1 milione di persone stava vivendo questa condizione psicologica.
Già lo scorso anno, durante il primo periodo di riaperture post Lockdown, diverse persone hanno manifestato una difficoltà importante nella ripresa delle consuete attività, sia lavorative che di svago, sperimentando vissuti emotivi di tensione, di timore e ansia all’idea di riprendere una serie di attività in presenza, a ricominciare a frequentare luoghi pubblici e ad uscire dalla propria abitazione, considerata appunto un rifugio sicuro dal pericolo di contrarre il virus.
Questa serie di vissuti ansiosi si stanno ripresentando proprio in questi giorni, a seguito della decisione del Governo di togliere l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto, a partire dal 28 giugno scorso. Molte persone infatti sono riluttanti all’idea di smettere di indossare questo dispositivo di protezione individuale (DPI) per ragioni riconducibili a quelle che caratterizzano la Sindrome della Capanna o del Prigioniero.
La sindrome della Capanna o del Prigioniero, con il passare del tempo (si stima circa 1 o 2 settimane) dovrebbe regredire, sia in ragione del fatto che la situazione esterna si può normalizzare, oppure perché tendiamo ad abituarci alla nuova condizione. In questa fase di assestamento, tuttavia, è possibile seguire alcune strategie che ci consentono di affrontare questa condizione emotiva con maggior padronanza della situazione, agendo noi in prima persona per cercare di contrastare la sindrome stessa.
Ecco, quindi, alcuni suggerimenti che possono rivelarsi utili in questo senso:
– Accogliere le emozioni che proviamo, pensandole come parte di un normale processo emotivo che fa seguito ad un lungo periodo di isolamento al quale non eravamo pronti a rispondere, in termini psicologici;
– Prendersi cura di sé attraverso piccoli gesti o necessità quotidiane che ci consentono di soddisfare i nostri bisogni in modo soddisfacente e sereno;
– Stabilire obiettivi precisi, gestire e organizzare il nostro tempo in modo tale da non creare troppi momenti vuoti o liberi da impegni, poiché sono i momenti in cui più facilmente i pensieri e le preoccupazioni eccessive si fanno spazio nella nostra mente.
Tuttavia, nel caso in cui il passare del tempo unito al normalizzarsi della situazione o, di contro, l’abituarsi alla nuova condizione esterna non aiutino il regredire degli stati psicologici associati alla Sindrome della Capanna o del Prigioniero e i vissuti emotivi che conseguono diventano troppo ingombranti e ingestibili, il consiglio è sempre quello di rivolgersi ad uno Psicologo, che ci possa essere di supporto in un momento di transizione così difficile e complesso.
Dott.ssa Elisa Tagliaferri
Psicologa Clinica
(Ordine degli Psicologi della Lombardia, n.22232)
Riceve a Lecco, oppure on line.
elisatagliaferri.psicologa@gmail.com