Oggi inizia il mese rosa, il mese della prevenzione senologica, con una storia (purtroppo vera) di umana incongruenza.
A nessuno, se non è un “chirurgo”, piace andare in sala operatoria …
Comunque, quando scopro un tumore, una delle domande più frequenti che mi fa la paziente è “quando mi opera?” perché nessuna vuole aspettare, perché l’attesa è angosciante ed è vissuta come un pericolo.
Ovviamente ci sono i tempi tecnici, che cerco sempre di ridurre al minimo.
Uno slogan della Campagna Nastro Rosa è “battiamolo sul tempo, facciamo prevenzione”.
Ma non è sempre così.
Ieri una paziente, alla quale ho trovato un tumore 10 giorni fa e che si è affrettata muovendo mari e monti per fare gli accertamenti necessari (mammografia, esame microistologico), una volta ottenuta la conferma della diagnosi, mi ha scritto che vuole aspettare, che ha bisogno di tempo, perché vuol fare una corretta e sana dieta per far regredire il tumore.
Purtroppo il tumore non lo sa, non è interessato alla dieta, ha altro da fare, si è messo in cammino e dal seno è già arrivato in un linfonodo dell’ascella.
La paziente è una donna di 50 anni, apparentemente intelligente, sicuramente istruita perché fa l’insegnante, ed è profondamente radicata nella sua convinzione che guarirà con la dieta.
Io non sono riuscito a farle cambiare idea, e questo mi ha lasciato un senso di delusione e di amarezza, ma proprio mi sono trovato davanti a un muro che non vuol sentire ragioni e “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.
Perché allora fare prevenzione e correre per fare gli accertamenti se poi si decide di lasciare indisturbato il tumore, confidando in una dieta?
Tutto questo è assurdo, illogico, triste e deprimente.
Il nostro impegno, le nostre campagne rosa a cosa servono?
Giorgio M Baratelli
Chirurgo senologo
Direttore Unità di Senologia Ospedale di Gravedona (Co)
Membro Comitato Scientifico Accademia di Senologia “Umberto Veronesi”
Presidente LILT di Como