Come abbiamo in precedenza visto, emerge dai dati dello studio ESEMeD (1) (qui l’articolo precedente) che la depressione maggiore presenti una percentuale di prevalenza nel corso della vita (lifetime) pari al 10,1%. Questo significa che, ad oggi, la depressione maggiore in Italia si colloca al primo posto tra le patologie mentali. Anche rispetto al tasso di prevalenza a 12 mesi la depressione maggiore si colloca al primo posto, con un tasso di prevalenza pari al 3%. Questi dati, tradotti, significano che la depressione maggiore rappresenta la patologia che maggiormente colpisce gli italiani.
Umberto Galimberti (2) definisce la depressione come un’alterazione del tono dell’umore verso forme di tristezza profonda con riduzione dell’autostima e bisogno di autopunizione. Il DSM-52 definisce i disturbi depressivi come una serie di disturbi caratterizzati dalla presenza di umore triste, vuoto o irritabile, accompagnato da modificazioni somatiche e cognitiva che incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento dell’individuo. Il disturbo depressivo maggiore rappresenta una condizione classica e, come si è visto, piuttosto prevalente, in questo gruppo di disturbi. La caratteristica essenziale di un episodio depressivo maggiore è un periodo di almeno 2 settimane durante il quale vi è la presenza di umore depresso o la perdita di interesse o piacere in quasi tutte le attività. L’episodio deve inoltre essere accompagnato da disagio clinicamente significativo o da compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo e in altri aspetti importanti della vita della persona. Tuttavia, in alcuni soggetti che presentano episodi più lievi, il funzionamento può apparire normale ma richiedere un marcato aumento di sforzo. L’umore, comunque, viene spesso descritto dall’individuo come depresso, triste, disperato, scoraggiato o “giù di corda”.
Tuttavia, questo insieme di manifestazioni si può declinare in modo diverso da soggetto a soggetto: alcuni individui lamentano di sentirsi “spenti”, di non provare sentimenti o di sentirsi invece ansiosi; altri individui invece enfatizzano i sintomi fisici come fastidi e dolori, anziché riferire i sentimenti di tristezza percepiti. Altri ancora riferiscono e sottolineano significativamente vissuti di irritabilità come rabbia persistente, tendenza a rispondere agli eventi con accessi di ira o con un esagerato senso di frustrazione relativamente a questioni irrilevanti.
La perdita di piacere o interesse nelle attività svolte è quasi sempre presente, in qualche misura. Alcune persone possono riferire di sentirsi meno interessati a quelli che sono i propri hobby e le attività che di norma producono piacere; in alcuni casi si rileva anche una perdita del desiderio sessuale. In alcuni casi sono i famigliari a notare segni di ritiro sociale nella persona, ovvero della tendenza a non prendere più parte a momenti di aggregazione sociale di qualsiasi tipo, senza un motivo che giustifichi tale evitamento. A questi si possono poi aggiungere manifestazioni legate al sonno e al ritmo sonno-veglia, all’insonnia o all’ipersonnia; all’alterazione dell’appetito e alla modifica del peso corporeo. Si rilevano inoltre alterazioni psicomotorie come agitazione oppure rallentamento; diminuzione dell’energia, astenia, faticabilità.
Ciò che spaventa maggiormente quando si parla di diagnosi di disturbo depressivo maggiore è la conseguenza che questa patologia può comportare sul piano del funzionamento globale dell’individuo. Molte delle conseguenze funzionali del disturbo depressivo maggiore derivano dai sintomi individuali e dall’intensità e frequenza della loro manifestazione nella vita della persona. La compromissione può essere molto lieve, al punto tale che coloro che interagiscono con il soggetto con depressione maggiore faticano ad accorgersi che vi sia qualcosa che “non va” nella persona. Tuttavia, la compromissione può variare fino a raggiungere un livello severo, che comporta un livello di funzionamento dell’individuo seriamente compromesso.
La depressione maggiore è affrontabile attraverso una corretta, e quanto più possibile precoce, diagnosi e un adeguato trattamento psicoterapeutico, spesso abbinato all’utilizzo di una farmacoterapia mirata.
I campanelli dall’allarme che ci fanno intendere che “qualcosa non va” in noi stessi o nelle persone che ci sono vicine non sono mai da sottovalutare, ed è sempre bene consultare un professionista che possa aiutarci a valutare la situazione.
Fonti:
1 Istituto Superiore di Sanità https://www.epicentro.iss.it/mentale/esemed-pres
2 Galimberti, Umberto – Nuovo Dizionario di Psicologia, Feltrinelli (2018) 3DSM-5, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, APA 2013 (quinta edizione, Raffaello Cortina)
L’autrice
Dott.ssa Elisa Tagliaferri
Psicologa Clinica
(Ordine degli Psicologi della Lombardia, n.22232)
Riceve a Lecco, oppure on line.
elisatagliaferri.psicologa@gmail.com