VALTELLINA, 18 luglio 1987 – È un sabato. Molti vacanzieri si apprestano a raggiungere le località di villeggiatura valtellinesi, nonostante le condizioni meteo siano inclementi. Dal 16 luglio, infatti, piogge e rovesci temporaleschi si avvicendano su gran parte della provincia di Sondrio: un’intensa depressione – con fulcro tra Inghilterra e Francia – convoglia aria fresca e instabile verso le Alpi, mentre il Nord Italia è interessato da un forte richiamo di correnti meridionali molto calde e umide, con zero termico attorno ai 4000 metri. Circostanza vuole che sia la Valtellina ad ospitare i contrasti più marcati fra queste due distinte masse d’aria.
Il giorno 18 la situazione degenera: sistemi temporaleschi a ripetizione scaricano sulle Alpi Centrali una quantità enorme d’acqua in poche ore. Un diluvio monsonico investe le montagne valtellinesi (specie le Orobie) con accumuli localmente incredibili: in Val Caronno, poco lontano dal capoluogo, cadono oltre 300mm in 24 ore. A chi conosce il territorio è presto evidente la portata del dramma: le prime (terribili) notizie non si fanno attendere. Nel pomeriggio una frana in Val Tartano investe in pieno un albergo, sventrandolo a metà e uccidendo 19 persone. Fiumi e torrenti escono dai loro argini e travolgono case e strade.
Nella notte tra sabato e domenica 19 il fiume Adda si riappropria con prepotenza di tutte le piane in medio-bassa valle, aree – un tempo paludose – bonificate a metà ottocento dal governo austriaco. La furia delle acque (o, meglio, del fango) sommerge svariati chilometri quadrati di territorio, travolge ponti e allaga case, industrie e cascine trascinando con sé ogni cosa (saranno ritrovati capi di bestiame nel Lago di Como). Interrotte le vie di comunicazione (ferrovia e SS38), migliaia le persone sfollate.
E’ una catastrofe, ma il peggio – per assurdo – deve ancora arrivare. Qualche giorno dopo, sul versante montuoso della Val Pola, località poco distante da Bormio, i geologi notano preoccupanti fenditure nel terreno. Il segnale è quanto mai provvidenziale: si procede a sfollare con urgenza buona parte delle abitazioni nel comune di Valdisotto (SO), decisione non semplice ma che salverà la vita a centinaia di famiglie.
Il mattino del 28 luglio, alle ore 7:27, dal Monte Zandila si staccano quaranta milioni di metri cubi di materiale roccioso, ben oltre la più nefasta delle previsioni. L’intera montagna si rovescia a fondovalle per un fronte di oltre 1km, sommergendo completamente gli abitati di S. Antonio Morignone e Piazza. Sette operai, al lavoro per ripristinare la viabilità in zona, non riescono a mettersi in salvo per tempo. La violenza della frana è tale che la frazione di Aquilone, piccolo borgo posto a centinaia di metri di distanza sul versante opposto a quello franato, viene investito dalla furiosa onda di fango e detriti in risalita per inerzia. Perdono la vita molti dei residenti (28 persone), non sfollati in quanto ritenuti erroneamente fuori pericolo. Chi si è salvato, fortunosamente o scappando in pigiama per gli alpeggi, racconta di uno scenario infernale, con abitazioni letteralmente spazzate dall’onda d’urto, trascinate a fondovalle in un enorme lago fangoso e vorticoso in cui galleggiavano tronchi, pali della luce e tetti di case.
A conti fatti, gli episodi alluvionali e di dissesto idrogeologico del luglio 1987 in Valtellina, Val Malenco, Val Poschiavo, Val Camonica, Val Brembana e altre località limitrofe, saranno complessivamente responsabili di decine di morti, centinaia di feriti, migliaia di sfollati e danni per circa 4000 miliardi delle vecchie lire.
Questo racconto è in memoria delle vittime di questi eventi drammatici, nonché un omaggio alle innumerevoli persone che – con grande cuore e spirito di sacrificio – nei momenti successivi alla tragedia prestarono soccorso a chi perse casa e affetti.
Contributo del Centro Meteorologico Lombardo.
Immagini tratte da: “Valtellina Luglio 1987. I giorni del dramma”, supplemento al n° 169 del 31 luglio 1987 di “Regione Uno”