PERLEDO – Il crollo di alcuni ponti mal costruiti, il collasso di alcuni edifici, i postumi del terremoto, hanno risvegliato le attenzioni verso tutto ciò che può originare situazioni di criticità o di pericolosità fino al punto di suggestionare e andare oltre quelle che sono le doverose attenzioni e cure per la salvaguardia delle persone e della normale attività dei cittadini.
Se non ci sono ponti da chiudere o edifici da transennare o da sgomberare ci si può soddisfare trovando il capro espiatorio anche in un albero, scaricandogli addosso responsabilità e rischi che, ad una serena ed attenta valutazione, sembrano infondati.
È il caso del cedro della stazione di Perledo-Varenna che sta lì da un centinaio d’anni (10 più o 10 meno ha poca rilevanza), con un fusto di 98 cm di diametro, senza dare fastidio ad alcuno, semmai fornendo servizi a costo zero quali la bellezza del paesaggio, la biodiversità, l’ombra, il profumo, l’ossigeno, il canto degli uccelli.
Improvvisamente qualcuno ha deciso di gravarlo di colpe e pericoli che non ha.
Il tecnico incaricato di periziarlo – giungendo alla conclusione che il cedro va tagliato – non ha trovato appigli per poter affermare che l’albero è malato, né che è fragile, né che ha il fusto cariato o con i funghi al colletto, né che ha la chioma o gli apici secchi, né che si è inclinato. Ha riscontrato che le radici sono lunghe, vigorose, e che hanno manomesso la pavimentazione di porfido in cubetti, posata a pochi centimetri sopra le radici. Dall’esame dei manufatti e della loro età sembrerebbe anche che la pavimentazione sia stata posata con l’albero e una parte delle radici già presenti.
La vigoria delle radici è notoriamente un elemento di stabilità di un albero: più sono grosse ed estese e più l’albero è sicuro di stare in piedi; in questo caso la lunghezza e la disposizione delle radici sono ben valutabili attraverso la corrugazione della pavimentazione.
Alle radici è stata però addebitata la precarietà del muro che sostiene il piazzale: un manufatto di cemento armato di 40 cm di spessore.
Probabilmente tale diagnosi è stata fatta senza neppure guardare da vicino il muro che, ripulito dall’edera, appare perfettamente integro e stabile, senza fessure, senza crepe, senza spanciamenti, senza inclinazioni anomale.
Bisogna riconoscere che tra il fusto del cedro e il muro c’è lo spazio di circa un metro, ma essendo il muro sufficientemente robusto, le radici si sono adattate alla situazione e si sono sviluppate in tutt’altra direzione; questo sviluppo naturale è in corso, con esito positivo per tutti, da decine di anni.
Quanto impiegherà il fusto ad occupare quello spazio per arrivare a spingere e rompere il muro? 20-30-50 anni? Perché inventarsi e dichiarare un pericolo immediato e far credere che il muro sta crollando, e che le radici hanno rovinato e lesionato il muro? Perché dare la colpa all’albero?
Legittima la domanda: e i sassi che sono caduti? Risposta: sono caduti dal fronte di roccia delle proprietà confinanti e sono blocchi di conglomerato naturale (ceppo) che sta al di sotto di un leggero strato di terreno; per effetto del gelo/disgelo e del dilavamento il fronte si frattura poco alla volta. Questa azione disgregatrice non ha alcun rapporto di dipendenza con le radici del cedro, che nel ceppo non ci sono.
Il fronte di ceppo a vista, di proprietà privata, è esterna alla proprietà delle Ferrovie: avrebbe bisogno di un disgaggio e di un consolidamento: il rapporto comunque coinvolge il proprietario soprastante con il privato sottostante. Il Comune e le Ferrovie non hanno titolo per intervenire.
Visto che si tratta di muri e della loro stabilità sarebbe stato utile corredare la perizia tecnica con le loro immagini e con una valutazione della loro condizione di stabilità, sia quello delle ferrovie, su cui insiste il cedro, sia quello privato su cui gravano un oleandro, una spirea, un alloro, e qualche edera.
Il Comune, a mio parere, ha quindi sbagliato mira imputando al cedro responsabilità che non ha, e impegnando soldi pubblici con finalità distruttive (il taglio del cedro) mentre avrebbe dovuto invitare i privati coinvolti (quello sopra e quello sotto) a provvedere alla sistemazione del loro fronte di roccia parzialmente instabile.
Per questi motivi invito a fermare le motoseghe prima che sia troppo tardi e a fare una valutazione più serena della situazione.
Di abbattere il cedro potremo forse riparlarne tra 20 anni. Chi vivrà vedrà.
Il cedro, se lasciato in pace, ci sarà sicuramente: io probabilmente no.
Giorgio Buizza