LECCO – Nel precedente articolo di questa rubrica ho parlato della comunicazione in generale. Dagli assiomi della “Pragmatica della comunicazione umana” si evince che gli scambi comunicativi umani corrono su due binari paralleli: verbale e non verbale. Il primo è logico ed esplicito, si presta a trasmettere grandi quantità di informazioni, ha precise regole sintattiche e lascia poco spazio all’arbitrarietà di attribuzione del senso. Il secondo, invece, non rispetta una grammatica rigida, è difficilmente riconducibile a un significato univoco, è meno controllabile, veicola messaggi viscerali come emozioni e stati d’animo.
Come sostenuto dagli autori Watzlawick, Beavin e Jackson, la comunicazione non verbale è di tipo analogico. Secondo la scuola sistemico-relazionale di Palo Alto, essa può assolvere funzioni diverse: enfatizzare il concetto espresso verbalmente, contraddirlo, sostituire la comunicazione verbale. Dal punto di vista descrittivo si distinguono tre principali modalità: paralinguistica, cinesica, prossemica.
La paralinguistica è l’insieme delle caratteristiche non linguistiche del parlato: tono di voce, inflessione, velocità dell’eloquio, ritmo, silenzi, pause, modi di intercalare. Tutto ciò risente chiaramente della circostanza e dell’interlocutore: si pensi ad esempio alle differenze che intercorrono tra la comunicazione di un alunno impreparato che sta venendo interrogato e quella di due amici che conversano tranquillamente su una panchina al parco. Oltre al contesto, l’espressione paralinguistica dipende anche dall’attribuzione dei ruoli: la conversazione con un collega di lavoro avverrà con un certo tono, una certa velocità e un certo modo di intercalare; quella con un ufficiale delle forze dell’ordine avrà ben altre peculiarità.
La cinesica, invece, comprende i movimenti del corpo, la mimica facciale, la gestualità. Il volto, nello specifico gli occhi, è l’area del corpo che maggiormente veicola i significati. Lo sguardo è altamente espressivo, e anche il solo fatto di guardare qualcosa è di per sé una comunicazione. Può dimostrare attenzione, timore, può suscitare imbarazzo, fastidio e anche paura. I gesti, poi, possono essere deittici oppure referenziali.
Appaiono precocemente, e servono per indicare un’azione e per condividere l’attenzione. Con il passare del tempo diventano sempre più astratti, sempre meno dipendenti dal contesto direttamente circostante e sempre più associati al contesto culturale nel quale si è immersi. La cinesica comprende, inoltre, la postura. Essa comprende gesti convenzionali, come ad esempio inchinarsi in segno di deferenza, così come gesti più generali, come protendere il busto in avanti o all’indietro per mostrare, rispettivamente, interesse o distacco.
La terza componente della comunicazione non verbale è la prossemica. Si tratta del comportamento spaziale, del modo di porsi in relazione con l’interlocutore nello spazio. Lo studio di questo ambito, valutando la distanza più o meno ampia tra gli interlocutori, è stato introdotto dall’antropologo Edward Hall. Egli, al termine della seconda guerra mondiale, venne incaricato di studiare come riavvicinare le culture rivali tedesca e giapponese a quella degli USA, così che la successiva cooperazione per la ricostruzione procedesse con maggiore collaborazione e senza incomprensioni. L’analogia da lui utilizzata è con il concetto di territorialità dell’etologia: così come gli animali marcano il loro territorio, anche l’uomo regola il suo ambiente tramite la distanza che pone tra sé e il prossimo. Secondo l’autore, gli individui possiedono “regole prossemiche inespresse”, che ci permettono di stabilire una distanza fisica appropriata nelle relazioni quotidiane. La distanza interpersonale che manteniamo con il nostro interlocutore può essere modificata in base al livello di relazione che abbiamo instaurato con questa persona. E’ comprensibile come questo aspetto sia particolarmente rilevante quando le persone sono costrette a condividere uno spazio limitato (per esempio in un ascensore).
Hall riconosce quattro gradi di distanza:
• Distanza intima (da 0 a 45 cm): nelle relazioni intime la distanza viene abolita. Odore e calore sono gli input sensoriali dominanti;
• Distanza personale (da 45 cm a 120 cm): distanza ravvicinata, è possibile interagire con l’altro e toccarlo. La vista diventa il canale sensoriale dominante;
• Distanza sociale (da 120 cm a 360 cm): distanza tipica delle situazioni lavorative, della differenza di ruoli;
• Distanza pubblica (oltre 360 cm): gli interlocutori non hanno modo di osservare dettagliatamente il volto l’uno dell’altro, come ad esempio in un tribunale o a un concerto. Odore e calore sono completamente assenti.
Anche i modelli prossemici variano culturalmente: i popoli mediterranei e sudamericani sono più a loro agio con distanze ravvicinate; i popoli del nord Europa e del nord America preferiscono una maggiore distanza tra gli interlocutori.
Se ci si avvicina in modo inappropriato alle persone, queste percepiscono un’invasione del loro spazio personale che spesso si traduce in un vissuto di stress o di irritazione. In un celebre esperimento di Felipe e Sommers, condotto negli anni Sessanta, un collaboratore dello sperimentatore cercava, in un parco, panchine occupate da una sola persona e si poneva a sedere al loro fianco a circa 15 centimetri di distanza. Ciò non è appropriato, perché quando ci sediamo in una panchina già occupata sappiamo di doverci sistemare il più lontano possibile da chi vi è già seduto. Risultato: dopo un minuto dall’invasione, il 20% dei soggetti aveva lasciato la panchina per il disagio, mentre dopo 20 minuti se ne era andato il 65%, contro il 35% nella situazione di controllo, in cui nessuno si sedeva accanto. Questo studio dimostra chiaramente che una risposta frequente all’”invasione” dello spazio personale è quella di “fuggire”.
Secondo Maherabian, la comunicazione globale viene influenzata per il 55% dai movimenti del corpo (in particolare dalle espressioni facciali), per il 38% dall’aspetto vocale (tono, ritmo, volume), per il 7% dalle parole.
Queste regole prossemiche possono essere cruciali, quindi, nel gestire in modo soddisfacente una relazione interpersonale. E’ possibile osservare il rispetto (o il mancato rispetto) di queste regole implicite in vari momenti della nostra vita quotidiana, ad esempio in una sala d’aspetto, in una libreria, durante un pranzo in famiglia. Esistono distanze prestabilite e che devono essere tenute in debita considerazione: se la distanza è eccessiva sarete percepiti come freddi e distaccati, se è troppo ravvicinata risulterete invadenti e inopportuni.
Alberto Zicchiero, psicologo
Iscrizione Opl n. 17337
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