LECCO – Chiesta l’archiviazione del caso sulla morte dell’agente Francesco Pischedda, ma i legali e la famiglia del poliziotto si oppongono. Ieri all’udienza davanti al Gip Massimo Mercaldo erano presenti la madre Diana Mirabella e il padre Gianni, che hanno ribadito la vicinanza della Polizia di Stato, e chiesto – attraverso il loro avvocato – di “voler giustizia“. Il punto delicato della faccenda riguarda quelle 5 ore e 40 in cui Pischedda, dopo la caduta dal cavalcavia mentre inseguiva un malvivente, è rimasto prima a terra, poi trasportato all’ospedale di Gravedona ed Uniti, infine al Manzoni di Lecco dove è arrivato ormai esanime.
“La nostra richiesta al giudice – sostiene l’avvocato Delogu che con Annalisa Sorgiu rappresentata la famiglia Pischedda – è articolata su due punti: il primo è se Francesco con interventi tempestivi poteva essere salvato, il secondo se ci sono state delle negligenze. Non è tollerabile – prosegue il legale – che la Procura chieda l’archiviazione con sole due righe, chiediamo delle motivazioni ben dettagliate”. La Procura, infatti, avrebbe concluso per l’assenza di responsabilità per il decesso del giovane agente “perché non ci sarebbe un nesso causale tra i presunti ritardi e l’evento morte“.
Come si legge nella perizia dell’anatomopatologo Paolo Tricomi, scelto come consulente dalla Procura, “c’è stata una certa lentezza nei soccorsi”, ma è da escludere che vi “siano state delle responsabilità dei sanitari”. Gli specialisti scelti dalle parti civili, invece, sostengono che Pischedda sia rimasto due ore sull’asfalto prima di essere soccorso, a differenza del suo collega ferito, per il quale c’è stato un intervento immediato. La decisione sull’archiviazione spetta ora al Gip Massimo Mercaldo.