MANDELLO DEL LARIO – “La ricorrenza del 25 aprile, festa nazionale, ha segnato la storia del nostro Paese in modo indelebile. A distanza di 70 anni, ha ancora un valore di guida e di insegnamento per tutti noi e deve essere un punto di riferimento anche per il futuro. Ci fu una dittatura, il fascismo, che non fu un evento estraneo al popolo italiano, imposto da forze straniere o da una ristretta classe dominante ma fu un fenomeno interno alla nazione, purtroppo condiviso e radicato in larghe fasce sociali. Contro la dittatura fascista si sviluppò una vasta resistenza, prima culturale, poi politica e solo infine armata, anch’essa radicata in diverse aree sociali e in gruppi di differente orientamento politico.
Spesso quando si ricorda la Resistenza si parla di Secondo Risorgimento. Ma volendo assumere questo paragone, tra il primo e il secondo Risorgimento vi è una differenza sostanziale. Nel primo Risorgimento protagoniste sono minoranze della piccola e media borghesia, anche se i cosiddetti “figli del popolo” partecipano alle imprese di Garibaldi e Pisacane. Nel Secondo Risorgimento protagonista è il popolo, cioè guerra popolare fu la guerra di Liberazione. Vi partecipano in massa operai e contadini, gli appartenenti a quella classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva visto i suoi ragazzi migliori affrontare coraggiosamente le condanne del tribunale speciale. E’ importante qui ricordare che su 5.619 processi svoltisi davanti al tribunale speciale, 4.644 furono celebrati contro operai e contadini. E la classe operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi durante l’occupazione nazista, scioperi politici, non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e centinaia di questi scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di sterminio in Germania, ove molti di essi troveranno una morte atroce.
Senza questa tenace lotta della classe lavoratrice – lotta che inizia dagli anni ’20 e termina
25 aprile 1945 – non sarebbe stata possibile la Resistenza e di conseguenza la Carta Costituzionale e la Repubblica. La nostra Costituzione è il prodotto della Resistenza, naturale prosecuzione di un movimento che ha saputo ridare dignità, libertà e orgoglio ad un Paese devastato e mortificato da 20 di dittatura fascista, 20 anni di arretratezza culturale, 20 anni di sofferenze, di paura, di delazioni e di devastazione di ogni minima libertà e idea di giustizia. Molta confusione da qualche parte continua a farsi – anche strumentalmente – sull’idea che possa esserci stato un “fascismo buono”, da contrapporre a un fascismo cattivo, quello delle guerre e delle leggi razziali. Un modo maldestro, goffo e forse a volte quasi inconscio di riscrivere la storia. Insomma l’anticamera di un revisionismo pericoloso, che dietro la malafede o la buonafede, nasconde ignoranza e arroganza. Noi diciamo e non ci stancheremo di dire che non c’è mai stato un fascismo buono! Questa è Storia. Non può esistere pertanto una classe dirigente seria e preparata che non abbia coscienza e conoscenza della propria storia. E badate, non riguarda solo chi fa politica, riguarda tutti e tutte. Un dirigente
politico che non conosce la storia del proprio Paese non sarà in grado di capire fino in fondo le fondamenta etiche della sua responsabilità personale e pubblica e un dirigente d’impresa che non conosce la storia del proprio Paese non sarà in grado fino in fondo di capire le fondamenta etiche del lavoro che genera e di rispettare chi questo lavoro lo fa. Scegliere da che parte stare è il primo atto di Resistenza. Non permettiamo che altri decidano per noi.
E molte, moltissime donne scelsero. Non possiamo non ricordare che esse rappresentarono una componente imprescindibile per il movimento partigiano nella lotta contro il nazifascismo: le giovanissime che ricoprirono il ruolo di staffetta per garantire il collegamento tra le varie brigate e tra i partigiani e le loro famiglie; le operaie e le lavoratrici che, dall’interno delle fabbriche dove avevano preso il posto degli uomini impegnati in guerra, organizzarono scioperi e manifestazioni contro il fascismo; le tante donne combattenti, che si posero anche alla guida di brigate partigiane per riconquistare la libertà e la giustizia del nostro Paese.
Fu una guerra civile, è bene ricordarlo, ma fu soprattutto guerra di popolo, che voleva ritrovare la propria libertà, una vita migliore. Perché come ha scritto Primo Levi – nel suo libro Il sistema periodico – “il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l’Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi
pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata”.
La vera rinascita dal fascismo è la ripresa di fiducia nell’uomo, nella capacità dei singoli e delle loro libere aggregazioni di rispondere efficacemente ai bisogni personali e collettivi. Mi preme ricordare, a questo proposito, quel patrimonio di idee provenienti sia dalla cultura cattolica e liberale che da quella socialista e comunista. Basti pensare a persone di straordinaria caratura morale e intellettuale che hanno pagato con l’emarginazione, il confino, il carcere e la vita la loro azione. Solo per fare quattro nomi: De Gasperi, Croce, Matteotti e Gramsci. E’ il contributo di queste grandi correnti
di pensiero e di questa appassionata e capillare opera di educazione
sentimentale del popolo che permise, nell’immediato dopoguerra, la
scrittura della Costituzione Italiana. Il richiamo alla Liberazione di cui celebriamo la festa, ci obbliga inoltre ad una riflessione sul tema della libertà, tema essenziale e critico nella nostra attuale democrazia. Non basta essere liberati per essere liberi. La liberazione è un evento, spesso collettivo, che può correre il rischio di assumere – nostro malgrado – un significato esteriore. La libertà è una conquista interiore innanzitutto il cui valore richiede un alto grado di consapevolezza e di disponibilità al sacrificio di sè come i partigiani ci insegnano. Liberazione e libertà sono strettamente collegate, ma il passaggio dall’una all’altra non è nè immediato nè automatico. Più che una condizione la libertà è una vocazione.
Quanto alla democrazia. Un’autentica democrazia non è solo il rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta adesione ai valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti, l’assunzione del bene comune come fine e criterio regolatore della vita politica. Se non vi è consenso generale su questi valori, si smarrisce il significato della democrazia e si compromette la sua stabilità. Se non esiste nessuna verità eticamente orientata che guidi l’azione politica, allora il potere non trova alcun limite al suo dominio.
Il 25 aprile, perciò, deve essere soprattutto momento generatore di senso e di impegno morale e civile per tutti. Esistere solamente, in epoche come la nostra, non basta più. A chi abbia ancora una coscienza morale e politica, a chi non abbia ridotto a stato larvale la propria capacità di pensiero critico e la propria volontà di azione etica, il semplice esistere non è più sufficiente. La Resistenza è sempre attuale, questa è la sua valenza. E mai quanto in un tempo come questo nel quale dobbiamo resistere a un ritorno in politica del dilettantismo disinvolto e spocchioso e dell’opportunismo faccendiere ed egoista. Dobbiamo anche resistere all’asservimento ad una logica che tutela i bilanci finanziari ma è cieca di fronte agli uomini. La Resistenza fu portatrice di un Nuovo Umanesimo e di questo abbiamo bisogno oggi.
Dobbiamo riaffermare la dignità delle nostre istituzioni democratiche e repubblicane, così come ci sono state consegnate dalla Resistenza, liberandole da coloro che con comportamenti inaccettabili rischiano di delegittimarle, alimentando pericolosamente una sfiducia antipolitica che rischia di essere sfruttata da demagoghi populisti antidemocratici.
Essere partigiani oggi vuol dire difendere il lavoro per i giovani e per chi ne è stato espulso perché non funzionale al profitto, vuol dire difendere le organizzazioni sindacali, i diritti dei lavoratori, contrastare le strategie che tendono a portare via dall’Italia il lavoro per ricrearlo altrove dove costa meno perché meno tutelato. Dobbiamo resistere a chi pensa di superare la recessione togliendo la voce ai lavoratori. Tutta la nostra solidarietà va verso i tantissimi lavoratori e lavoratrici che in questo momento vivono il dramma della precarietà e della disoccupazione e a quelli che oggi, in una giornata che dovrebbe essere di riflessione e di festa, sono obbligati a servire logiche di mero profitto. Sono tempi, questi, in cui è assolutamente doveroso impegnarsi in una seria vigilanza poiché la tentazione fascista e’ sempre latente. Abbiamo fame di buona politica. Abbiamo nostalgia della buona politica. Vogliamo un’Italia civile, democratica, antifascista, antirazzista in cui si
rispettino le Istituzioni repubblicane.
Affermiamo con forza che la Repubblica nata dalla Resistenza non può accettare – che noi non possiamo accettare – che il Mediterraneo sia la tomba di migliaia di donne e uomini, di bambine e bambini costretti a fuggire dalla fame, dalla miseria, dalla violenza, dalla guerra. Ritrovarsi uniti oggi qui, non vuol dire però azzerare le differenze tra la scelta coraggiosa di una lotta di Resistenza con o senza armi, anche attraverso forme di resistenza civile e la scelta di un consenso al fascismo o dell’altrettanto pericoloso “non dissenso” al fascismo. Allora come oggi, l’indifferenza, il non prendere posizione sono già complicità. Vigili e attenti, invece, dobbiamo essere. Laici nel giudizio sulla realtà, interessati e protesi ad affrontare i rischi del suo sovvertimento. In un tempo di facile conformismo – non dimentichiamo che anche il fascismo fu intriso di conformismo – ci viene richiesto di essere eretici consapevoli, democratici combattenti. E’ proprio quello che la cultura dell’economia e della realtà globale espressa dal pensiero unico non vorrebbe mai che accadesse. Per avere a disposizione una sommatoria distinta di individualità, tutte occupate nell’esercizio disciplinato della propria funzione: produrre, consumare il più possibile, farsi soggiogare dall’impero della tecnica, del profitto, della guerra infinita. Il passato esiste e insegna, guai a rimuoverlo.
Le grandi lotte dei partigiani nella Resistenza hanno bisogno di essere rilette e attualizzate, ma oggi più che mai dimostrano ancora di essere vive e fertili. E comunque nuove stagioni di passione tenace per affermare l’etica della responsabilità sono ancora possibili, nel solco della tradizione resistenziale che tende a dare forza all’esercito sconfinato degli sfruttati e degli uomini inquieti che si battono per conquistare in terra le condizioni della felicità propria e degli altri. Questo esercito sembra in rotta, sembra…Ma la storia insegna che tutto è possibile. Persino che le ragioni degli oppressi e degli offesi tornino a farsi valere. Una cosa che oggi sembra impossibile, sembra…Ma che non lo è, a condizione che passione e ragione, etica e responsabilità tornino a parlare l’una con l’altra.
Infine, sollevare la testa per riconoscersi e unirsi, organizzarsi e resistere per poi passare all’attacco, non è solo il miglior modo, il più coinvolgente ed intenso di spendere la vita; è anche obiettivamente indispensabile alla stragrande maggioranza degli uomini e delle donne del pianeta per coltivare la speranza di un mondo migliore. Che sia un buon 25 aprile per tutti voi, col cuore. Ora e sempre Resistenza”
Il Sindaco Riccardo Mariani