Gulberto era un tipo strano.
Forse, in previsione di ciò, i suoi genitori avevano deciso di chiamarlo in tal modo.
Era un solitario, di poche parole, e a scuola galleggiava sulle sufficienze giusto per non buscarle a casa. D’altronde, non c’era materia che gli piacesse.
Ma una grande passione lo bruciava dentro: quella per le lampadine.
Ne era affascinato in modo incredibile: passava delle ore ad osservarle accese, rovinandosi gli occhi.
Quando riceveva un regalo, al compleanno o a Natale, era felice solo se si trattava di un giocattolo che le conteneva. Andavano bene di ogni tipo e colore. Allora le estraeva dal contesto e le metteva sulla sua mensola in stanza, in bella mostra, collegandole alla presa di corrente. Il resto del giocattolo lo buttava, e questo impensieriva un po’ i suoi genitori.
Crescendo, aveva dovuto raddoppiare e poi triplicare la mensola, in quanto non riusciva più a contenere le lampadine.
La sua collezione stava diventando davvero corposa.
Coi primi soldini guadagnati grazie a lavoretti e mance, Gulberto aveva preso ad acquistarne altre, passando al setaccio tutti i negozi della zona per possederne d’ogni tipo.
Quindicenne, non aveva certo risolto i suoi problemi col mondo e coi suoi simili, ma a lui non importava.
Passava tutto il suo tempo libero in stanza, ad accendere e spegnere le sue meraviglie, o in giro a cercarne delle altre.
Diventato maggiorenne, e più spregiudicato, non si tirava indietro se c’era da rubacchiare. I lampioni erano i suoi preferiti, e con agilità ne raggiungeva la cima per appropriarsi del contenuto. Oppure, entrava nelle chiese, nei musei, in ogni luogo potesse avere accesso, e con disinvoltura si riempiva le tasche. Il pensiero che quello che stesse facendo non fosse legale, e potesse farlo finire in prigione, non lo sfiorava nemmeno.
Dalla sua stanza era traslocato in cantina, dove aveva attrezzato ogni parete con scaffali e mensole.
Il materiale era sempre di più, così come la gioia che Gulberto provava al loro cospetto.
Utilizzando Internet e ogni fonte d’infomazione, si dava da fare per riuscire a scovare sempre nuovi esemplari.
Un giorno, in un vecchio libro rinvenuto in una vecchissima libreria, Gulberto era venuto a sapere dell’esistenza della “MaxLuce”.
Tra le pagine sgualcite, col tremore che gli agitava le dita, Gulberto si era avidamente informato sulla sua ubicazione: stava in una caverna esattamente nel centro esatto del mondo. Ma dov’era il centro esatto del mondo?
Gulberto non si era scoraggiato, anzi. In preda a furore, aveva preso a setacciare ogni biblioteca, per capire dove si trovasse quel punto e di conseguenza la MaxLuce.
Era un’impresa difficilissima; le tracce da seguire davvero esili, e c’era il concreto rischio che si trattasse solo di una leggenda.
Ma almeno una cosa la si poteva calcolare: l’esatto centro del mondo. Siccome però la Terra è una palla, pure quel problema pareva di difficile soluzione.
Gulberto aveva lasciato il lavoro e la sua amata cantina. Doveva trovare la MaxLuce, ormai la sua unica ragione di vita.
Aveva preso a girare per il mondo, interpellando i più noti scienziati.
Finalmente, un matematico aveva elaborato una formula complicatissima per stabilire dove fosse il centro esatto. Secondo i suoi calcoli, in un punto del deserto del Sahara.
Gulberto non si era perso d’animo e aveva organizzato nei minimi dettagli la spedizione, investendo tutti i suoi soldi. Si sentiva vicino alla meta, alla realizzazione del suo sogno grandioso.
Facendosi condurre da un paio di guide beduine, si era addentrato nel deserto, confrontando i dati del matematico con le cartine geografiche.
Dopo qualche affannosa settimana di viaggio, Gulberto aveva finalmente raggiunto il punto x, il centro del mondo.
Si trattava di una zona ricca di asperità, probabile ci fosse una grotta.
Dopo qualche giorno di ricerca, Gulberto ne aveva scoperto l’ingresso.
Si era sentito emozionatissimo. La MaxLuce era ormai a portata di mano.
Dispensando i beduini dal seguirlo, si era addentrato da solo nell’oscurità. Una torcia era la sua unica compagnia.
La grotta scendeva sempre più nelle viscere della terra, e pareva non avesse mai fine.
Gulberto aveva camminato di buona lena, perdendo ben presto la cognizione del tempo.
Dopo un periodo non più quantificabile, la galleria naturale era sfociata in un ampio salone sotterraneo. La torcia era diventata superflua.
La MaxLuce splendeva in alto, bella e irraggiungibile.
Il suo chiarore era straordinario.
Gulberto era restato a lungo affascinato, poi si era scosso: quella lampada doveva essere sua. Ad ogni costo.
Era ritornato fuori e aveva dato ordine alle guide beduine di tornare con una lunga scala, la più lunga possibile, o meglio ancora con due, da poter attaccare assieme.
Aveva aspettato con ansia il loro ritorno, poi tutti assieme erano scesi nelle viscere della terra.
Nell’ampio salone sotterraneo, le scale avevano proteso Gulberto verso la MaxLuce.
Le gambe gli avevano tremato.
E se il mondo si fosse spento? Se l’energia della Terra fosse cessata togliendo la lampada?
Ma il sogno andava realizzato. Non poteva tirarsi indietro proprio ora.
Gulberto aveva proteso entrambe le mani ed aveva afferrato la palla incandescente, occhi chiusi per non diventare cieco.
in ogni luogo potesse avere accesso, e con disinvoltura si riempiva le tasche. Il pensiero che quello che stesse facendo non fosse legale, e potesse farlo finire in prigione, non lo sfiorava nemmeno.
Dalla sua stanza era traslocato in cantina, dove aveva attrezzato ogni parete con scaffali e mensole.
Il materiale era sempre di più, così come la gioia che Gulberto provava al loro cospetto.
Utilizzando Internet e ogni fonte d’infomazione, si dava da fare per riuscire a scovare sempre nuovi esemplari.
Un giorno, in un vecchio libro rinvenuto in una vecchissima libreria, Gulberto era venuto a sapere dell’esistenza della “MaxLuce”.
Tra le pagine sgualcite, col tremore che gli agitava le dita, Gulberto si era avidamente informato sulla sua ubicazione: stava in una caverna esattamente nel centro esatto del mondo. Ma dov’era il centro esatto del mondo?
Gulberto non si era scoraggiato, anzi. In preda a furore, aveva preso a setacciare ogni biblioteca, per capire dove si trovasse quel punto e di conseguenza la MaxLuce.
Era un’impresa difficilissima; le tracce da seguire davvero esili, e c’era il concreto rischio che si trattasse solo di una leggenda.
Ma almeno una cosa la si poteva calcolare: l’esatto centro del mondo. Siccome però la Terra è una palla, pure quel problema pareva di difficile soluzione.
Gulberto aveva lasciato il lavoro e la sua amata cantina. Doveva trovare la MaxLuce, ormai la sua unica ragione di vita.
Aveva preso a girare per il mondo, interpellando i più noti scienziati.
Finalmente, un matematico aveva elaborato una formula complicatissima per stabilire dove fosse il centro esatto. Secondo i suoi calcoli, in un punto del deserto del Sahara.
Gulberto non si era perso d’animo e aveva organizzato nei minimi dettagli la spedizione, investendo tutti i suoi soldi. Si sentiva vicino alla meta, alla realizzazione del suo sogno grandioso.
Facendosi condurre da un paio di guide beduine, si era addentrato nel deserto, confrontando i dati del matematico con le cartine geografiche.
Dopo qualche affannosa settimana di viaggio, Gulberto aveva finalmente raggiunto il punto x, il centro del mondo.
Si trattava di una zona ricca di asperità, probabile ci fosse una grotta.
Dopo qualche giorno di ricerca, Gulberto ne aveva scoperto l’ingresso.
Si era sentito emozionatissimo. La MaxLuce era ormai a portata di mano.
Dispensando i beduini dal seguirlo, si era addentrato da solo nell’oscurità. Una torcia era la sua unica compagnia.
La grotta scendeva sempre più nelle viscere della terra, e pareva non avesse mai fine.
Gulberto aveva camminato di buona lena, perdendo ben presto la cognizione del tempo.
Dopo un periodo non più quantificabile, la galleria naturale era sfociata in un ampio salone sotterraneo. La torcia era diventata superflua.
La MaxLuce splendeva in alto, bella e irraggiungibile.
Il suo chiarore era straordinario.
Gulberto era restato a lungo affascinato, poi si era scosso: quella lampada doveva essere sua. Ad ogni costo.
Era ritornato fuori e aveva dato ordine alle guide beduine di tornare con una lunga scala, la più lunga possibile, o meglio ancora con due, da poter attaccare assieme.
Aveva aspettato con ansia il loro ritorno, poi tutti assieme erano scesi nelle viscere della terra.
Nell’ampio salone sotterraneo, le scale avevano proteso Gulberto verso la MaxLuce.
Le gambe gli avevano tremato.
E se il mondo si fosse spento? Se l’energia della Terra fosse cessata togliendo la lampada?
Ma il sogno andava realizzato. Non poteva tirarsi indietro proprio ora.
Gulberto aveva proteso entrambe le mani ed aveva afferrato la palla incandescente, occhi chiusi per non diventare cieco.
La scarica d’energia fu violentissima, e Gulberto morì, diventando tutt’uno con la MaxLuce, fondendosi e plasmandosi attorno a lei, divenendo a sua volta luce per l’eternità.
Emanuele Tavola