Il bosco era uno straccio caduto nel catrame,

zeppo di creature tormentate dalla fame.

Il bimbo correva tra foglie e rami spezzati, inseguito da voci e lugubri ululati.

Aveva paura, anzi terrore, andare in quel posto era stato un errore,

ma ormai era tardi per il latte versato, come Dio per l’universo creato.

Procedeva a stento e a più non posso, spesso cadendo in qualche fosso,

tirandosi fuori con le unghie e con i denti, tra il sinistro sibilar di serpenti.

Ecco farsi incontro il vampiro, tranquillo come fosse un emiro,

sorriso accennato fra gli aguzzi denti, ritti i capelli sempre sull’attenti.

“Ciao bambino, benvenuti nel regno dei morti, non far caso che siamo un po’ smorti,

presto avremo un po’ di colore, grazie al tuo sangue dono d’amore.

Non aver paura, sei destinato, accetta quel che viene e siine beato…”

“Vattene sanguisuga, non voglio morire, torna nella bara e rimettiti a dormire!

Non ti darò il mio sangue e neppur il cuore, alla tua vista mi riempio d’orrore!”

Ma ecco uno zombie dietro una roccia, abiti a brandelli, ci vorrebbe una doccia,

si muove lento con le mani avanti, che faccia paura lo dicono in tanti.

“Cosa vuoi, mostro maledetto! Se trovo l’inferno, giuro che ti metto!

Guarda come sei conciato, letame buttato in un prato!”

“Vieni bambino, non sono cattivo, magari un tempo, quand’ero vivo…

ma ora che son mezzo morto, certamente sicuro che tu hai torto…”

“Lasciami stare, anima dannata, e se non ti levi ti mollo una pedata!”

Il buio inghiottì di nuovo il bambino, come si trattasse di un nascondino,

che alla ricerca della toppa, incappò nella zoppa.

“Son la strega, non temere, ti cercavo da molte sere,

finalmente ti ho trovato, caro il mio fior di prato.

Fatti abbracciare, sarò la tua mamma, un mucchio di fragole sotto la panna”

“Stai lontana, vecchia megera, e non t’azzardar a predir con la sfera!

Non voglio il tuo futuro, orrendo e maledetto, ma tornare a casa, sotto il mio tetto!”

“Hai poche pretese, nulla da dire, ma se non ti fidi, che senso mentire?

Non so proprio come farti tornare, non è vero che sappia volare…”

Il bimbo scartò la vecchia e si tuffò nella vegetazione,

lanciando alle spalle una maledizione.

Ma fatti pochi passi, ecco il precipitare,

in un vuoto impossibile da colmare.

Si svegliò urlando nella sua stanza,

sudato come al termine di una danza.

“Tranquillo, sognavi” accorse papà,

“E’ solo un incubo” aggiunse mammà.

Ma allora, perché vestiti di stracci e coi denti acuminati,

gli si fanno incontro lenti e dannati?

Emanuele Tavola