L’assassino si fermò. Avrebbe voluto ansimare per placare le fiamme che lo divoravano, fiamme divampate per la lunga corsa e la febbre, ma non poteva. Sapeva benissimo che loro erano sulle sue tracce e ne avrebbero approfittato al minimo errore. Sebbene il terreno paresse sgombro di foglie, non osò muoversi. Lento, reclinò il capo all’indietro e guardò in alto: la luna si faceva strada tra le fronde degli alberi, colando giù argento lungo i tronchi. Sarebbe stato meglio che non ci fosse, ma quella notte tutto pareva congiurasse contro di lui.
All’improvviso, sentì i latrati. Cani. Durante la fuga, più volte s’era rotolato nel fango, ma difficilmente avrebbe ingannato l’olfatto di quelle bestie. Velocemente si guardò tutt’attorno, ascoltando: abbaiare di cani, sì, ma pure voci umane e luci. Lo stavano braccando, erano vicini, e fra poco l’avrebbero scovato. Avanzavano a semicerchio, impedendogli di tornare sui propri passi, ma a lui quello non importava, una direzione valeva l’altra.
Senza indugiare oltre, l’assassino ripartì, non curandosi più di non far rumore. Il bosco gli si fece incontro rapidamente, scagliandogli addosso tutto quel che era in suo potere per fermarlo: rovi di spine, tronchi semi affogati nel fogliame, buche colme d’acqua e rami d’ogni sorta scattanti sul suo viso come schiaffoni dell’Onnipotente. L’assassino schivò e sopportò ogni cosa, seguitando a fuggire. Alle sue spalle, i latrati si fecero più intensi. I cani l’avevano fiutato ed evidentemente a fatica erano trattenuti al guinzaglio. Gli inseguitori lo volevano vivo, altrimenti li avrebbero già mollati.
L’assassino lo intuì, ma non se ne rallegrò. Nel suo essere non c’era spazio per quel sentimento. Serrando la mascella e i pugni, volò attraverso una piccola radura inondata di grigia luce e immediatamente si fece inghiottire dal prosieguo del bosco. Aveva poche probabilità di cavarsela, lo sapeva bene, ma avrebbe portato qualcuno con sé. Un lungo coltello, infilato in una guaina fissata alla cintura, gli trasmetteva un’inebriante sensazione di potere e di morte. Tra poco, avrebbe iniziato a usarlo. Le voci degli inseguitori si fecero più nitide, stavano guadagnando terreno trascinati dai loro bracchi. Erano furiosi. Non se lo sarebbero mai lasciato sfuggire, a costo d’andarlo a beccare fin nel profondo dell’inferno. Troppi di loro aveva spedito all’altro mondo, spargendo fra i superstiti una sete di vendetta inarrestabile come un incendio.
Non provava rimorso per quello che aveva fatto. Lui era così, un essere pregno d’odio per i suoi simili, disposto ad un’esistenza errabonda e disperata pur di soddisfare i propri istinti. Era un animale, pronto a sbranare chiunque incrociasse la sua strada, ma era pure furbo e sapeva bene quand’era il momento di correre a rintanarsi in una tana. Ora, era uno di quei momenti. Doveva seminare quel nugolo di vespe inferocite, e prima che il bosco terminasse.
All’improvviso, da dietro un enorme quercia piazzata sulla sua marcia convulsa, sbucò fuori qualcuno. L’assassino si bloccò e rapido tirò fuori il coltello. I movimenti gli parvero collosi, per via della stanchezza e della febbre, ma sapeva d’avere ancora sufficiente energia per scaraventare chiunque nel regno dei morti. L’avevano preso, anche se per il momento non si vedevano altre persone. Fissò feroce la figura davanti a sé: una bambina. L’ordine d’attaccare e uccidere che gli imponeva il cervello subì uno stop. Come mai una bambina gli sbarrava la strada?
Per la prima volta nel corso della sua tremebonda esistenza, l’assassino fu pervaso dal dubbio. Il coltello era sempre puntato avanti, ma con minor convinzione. La bambina, una gracile creatura dai lunghi capelli dritti come zucchero filato, alla luce della luna s’avviò lenta e delicata nella sua direzione. Non pareva avesse paura di quell’omaccione sporco e lacero che brandiva quella lunga arma da taglio. Com’era possibile? L’assassino non riusciva a scuotersi da quel torpore paralizzante, anche se una parte di sé era ben conscia del fatto che ogni secondo perso poteva rivelarsi decisivo per la salvezza. Alle sue spalle, difatti, latrati e richiami erano in aumento. La bimba giunse ad un paio di metri da lui e si fermò, braccia lungo i fianchi. Sollevò lo sguardo: sorrideva. L’assassino ne fu assolutamente sorpreso.
Di solito, chi aveva la sfortuna d’incrociare il suo cammino, pochi istanti prima di concedergli le sue carni, sbarrava gli occhi e spalancava la bocca, incamerando l’ultimo respiro. E invece questa, oltre a non mostrar timore, sorrideva pure. L’assassino avvertì qualcosa al petto, una sensazione strana, non sgradevole ma pure angosciante. Doveva muoversi, levarla di mezzo con un fendente e riprendere la fuga, doveva assolutamente fare così, ma non ce la faceva. Qualcosa l’aveva pervaso, impedendogli di scatenare la consueta furia omicida. La bambina fece un altro passo verso di lui, non facendo neppure rumore sulle foglie secche. Sorrideva sempre in modo disarmante e l’assassino si immerse inconsapevole nelle acque tranquille dei suoi occhi.
Dietro, latrati e urla erano ormai incombenti, preceduti di pochi istanti dal guizzare di torce. La bambina procedette ancora e, giunta ad un metro dall’assassino, levò la mano destra e s’avvicinò lenta al suo viso. Costui ne fu assolutamente sbalordito. Le uniche persone che avevano osato tanto, e che ora stavano sottoterra, avevano avuto la costante di tenere serrate a pugno le mani col chiaro intento di menare un fendente, ma questa in arrivo pareva solo una carezza! Del tutto disarmato di fronte ad una simile ed inaspettata dimostrazione d’affetto, l’assassino attese col cuore pulsante che la bimba compisse il suo gesto. E lei lo compì. “Bang!” risuonò lo sparo nella notte.
Latrati e urla immediatamente cessarono. L’assassino cadde faccia avanti, un buco in fronte. La sua esistenza dannata aveva avuto termine. La “bambina” se ne rimase lì immobile, col dito fumante ed il sorriso sempre stampato in fronte. Attendeva ordini. Giunse il suo padrone, quello sì con un sorriso vero. La cattura dell’assassino avrebbe significato un bel mucchio di quattrini, forse sufficienti ad ammortizzare la spesa per l’acquisto di quell’androide così in gamba.
Emanuele Tavola