Sì. Sono proprio sicuro. L’Uomo Nero esiste, e mi sta dando la caccia.

Era da qualche tempo che sospettavo la sua esistenza; sapete, piccoli segnali, movimenti furtivi appena captati dalla coda dell’occhio, sensazioni inequivocabili…

Ieri, verso le sedici, ero appena uscito in giardino e stavo facendo la consueta passeggiata lungo il muro di cinta. La giornata era stata bella, con un bel sole, che in quel momento stava cominciando a calare.

D’improvviso, ho avvertito distintamente d’essere seguito. Ne ero certo.

La paura è stata tanta, ma ho cercato di controllarmi.

Ho seguitato a camminare, come nulla fosse, ma appena potevo, ad ogni svolta del sentiero, gettavo un’occhio alle spalle.

Lui era là, lo intravedevo, e non riuscivo a scrollarmelo di dosso. Cosa voleva? Perché non mi lasciava in pace?

Alla fine, non ce l’ho più fatta e, appena sono transitato di fronte all’ingresso, sono corso dentro, al riparo.

L’Uomo Nero era sparito, non aveva osato seguirmi.

Sono rimasto turbato, e la notte non sono riuscito a prendere sonno. Continuavo a pensare a lui.

Mi voleva forse uccidere?

Ora è pomeriggio. Sono stato dentro tutta mattina e sono un po’ stufo. Ho voglia di sgranchirmi le gambe. Sono consapevole che se dovessi uscire potrei impattare nell’Uomo Nero, ma mi sembra giusto cercare di vincere la paura.

Lo devo affrontare. Sono più forte di lui. Non mi può fare niente.

Scendo tre gradini e sono sul vialetto. Saranno le tre, tre e mezzo. Il tempo è sempre bello.

Il cuore batte un po’, ma lo lascio fare. Significa che sono vivo.

Anche le gambe si danno da fare in un tremito fastidioso, allora mi decido e comincio a camminare.

Pochi passi e l’Uomo Nero mi si piazza alle spalle. Non capisco proprio da dove sia sbucato.

Resisto alla tentazione di voltarmi e affrontarlo apertamente. È una guerra di nervi. Voglio che sia lui a fare la prima mossa.

Il giardino è sempre bello in ordine, ed è un piacere per i sensi.

Percorro il consueto sentiero, con lui dietro. Mi concentro per sentirlo, ma lui è davvero bravo a camminare senza fare rumore. Che angoscia…

Provo ad accelerare il passo, dopo aver guardato l’orologio, come se mi fossi ricordato di un appuntamento importante.

L’Uomo Nero non molla.

Le foglie scricchiolano sotto i piedi, e per la tensione non riesco a gustarmi le meraviglie del giardino.

Ma cosa gli ho fatto? Perché mi tormenta?

Accelero ancor più, quasi corro.

Le piante mi vengono incontro rapidamente per poi svanire alle spalle.

Sto per cedere al panico. Non oso respirare.

Mi concentro solo sul sentiero e sulle mie gambe. L’adrenalina le fa volare.

Corro come un disperato, dopo un’altra occhiata alle spalle.

Mi è addosso.

Mi metto ad urlare, agitando le braccia per tenerlo indietro. Ho paura di cadere, di morire.

Finalmente, appare l’ingresso. Tre gradini, poi la salvezza.

Mi precipito in avanti come un disperato.

Urlo come un disperato.

Gesticolo come un disperato.

Con un balzo evito in toto i gradini e piombo sulla porta, spalancandola.

Appena dentro, due infermieri mi afferrano per le braccia.

“Matteo, tranquillo!” mi fa uno, tenendomi stretto.

“Non è successo niente” aggiunge l’altro, pacato. Quando dirigo lo sguardo su di lui, aggiunge “Non devi spaventarti così quando vedi la tua ombra…”

Emanuele Tavola