MANDELLO DEL LARIO – Buongiorno a tutti, vi ringrazio per la vostra presenza oggi in un momento storico in cui la memoria pare sia sopita e stia cedendo il passo al ritorno del male e ad uno spiccato egoismo, ponendo le basi per un ennesimo periodo buio per la nostra civiltà.
Vorrei ribadire innanzitutto un concetto già trattato lo scorso anno. Come gran parte di voi ho conosciuto i tragici eventi antecedenti il 25 aprile 1945 soltanto dai libri di scuola, provando disprezzo per chi, in ogni guerra ed animato da qualsiasi ideale, ha perseguito il male. Non serve a nulla però cercare vincitori o vinti ne tra partigiani ne tra giovani soldati catapultati al fronte. Questa ricerca ha mantenuto viva tra noi una profonda divisione. Non esiste guerra con dei vincitori. Un solo morto è già, per tutti, una sconfitta.

Oggi la più grande paura la ripongo nella banalizzazione del male. Una piaga che la nostra società sembra non vedere, perché procede silenziosa ed inesorabile.
Accettiamo e giustifichiamo ogni modo irrispettoso, ogni parola, ogni gesto.
Il male parte dalle piccole mancanze di rispetto e dalla maleducazione di ogni giorno. Accorgersene, condannarle e prevenirle è il primo antidoto a questa banalizzazione del male. Tutti, da chi ha responsabilità in ambito pubblico, associativo e famigliare, dobbiamo dare il nostro contributo affinché si cambi rotta.

Non siamo mai stati un popolo cattivo, non siamo mai stati felici di andare in guerra. Mussolini e le alte sfere del fascismo chiedevano a gran voce alle proprie armate di copiare la cattiveria dai Nazisti. In Russia coniarono invece il soprannome Italiani brava gente. A Cefalonia pochissimi Italiani rimasero al fianco dei nazisti, anche se l’alternativa più probabile era la morte , e non il rientro a casa.
Non siamo mai stati cattivi, non diventiamolo ora. Né tra di noi, né verso gli altri.
Perciò diamo e pretendiamo rispetto. Senza di esso, il vivere civile e minano i fondamenti cardine della nostra costituzione scricchiolano.

Gli eletti nell’assemblea costituente vissero i terrificanti anni della guerra e stesero un documento in cui puntarono su pochi ma saldi concetti per evitare il ripetersi di simili atrocità.
Il principio che credo sia più importante e pericolosamente abbandonato in questi anni è quello solidaristico: la solidarietà.
L’art. 2 recita:
«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Tali inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale sono ampiamente definiti all’interno del testo della costituzione ma qui, al secondo articolo, si sottolinea l’indissolubilità dei diritti e dei doveri.

Ci siamo sempre soffermati sull’importanza di evitare una deriva in un’inaccettabile forma dittatura e di schiavitù, come quella fascista, fatta di doveri senza diritti. Oggi però nel nostro quotidiano, viviamo il paradosso contrario. Diritti senza doveri.
L’ex presidente della camera Luciano Violante afferma:“Senza diritti non c’è democrazia. Ma una democrazia senza doveri resta in balia degli egoismi individuali e dei conflitti istituzionali. Riprendiamo nelle nostre mani il concetto di «dovere» per rendere concreti i diritti e per immettere forza morale nella democrazia”. Una affermazione che condivido e che vorrei che ognuno di voi declinasse nella propria vita quotidiana.

Confondiamo solidarietà con assistenzialismo ed attendiamo sempre che siano altri a risolvere le nostre problematiche. Negli ultimi anni, anche la politica e le istituzioni, per motivi elettorali o per incapacità di affrontare in maniera efficace una crisi economica ormai divenuta cronica, hanno preferito politiche e misure assistenziali a sostegni più strutturali: nel mercato del lavoro, nell’assistenza alla povertà e nello stimolo all’ammodernamento del paese.

Non vi nego, come Sindaco, la mia preoccupazione: le istituzioni locali sono strette tra la fatica degli enti superiori ad adempiere alle proprie mansioni ed una società che si sgretola, sempre più apatica ed individualista. I cittadini attendono l’intervento pubblico o, comunque, di qualcun altro, per un numero sempre maggiore di necessità.
Quanto ci aspettiamo dagli altri, e quanto facciamo noi per gli altri?
Quante regole vogliamo che vengano rispettate dagli altri e poi siamo i primi a non rispettarle?
Quanto tempo passiamo nella critica altrui e quanto a compiere qualcosa di buono, magari per gli altri?
Solidarietà significa reciprocità: la nostra comunità non la possono vivere gli altri per noi, non la possono tenere viva gli altri per noi.

Concludo come lo scorso anno: I nomi su questo e sugli altri monumenti cittadini, sulle troppe lapidi del nostro territorio ed anche su alcune lontane da Mandello ci ricordano quanti mandellesi hanno perso la vita per la nostra libertà: il 25 aprile ricorda la libertà conquistata ma anche le nostre responsabilità, di singoli cittadini e di comunità.
La sua vera commemorazione è vivere con senso civico, rispetto, solidarietà e partecipazione tutti i liberi giorni che qualcuno, 72 anni fa, ci ha donato.

Viva il 25 aprile, viva la democrazia!

Riccardo Fasoli
Sindaco di Mandello del Lario